di James Fergusson
L’empatia sta diminuendo rapidamente nella nostra cultura. Ci sentiamo dire che «la persona media nel 2009 era meno empatica del 75% rispetto alle persone nel 1979», eppure vi sono 1500 libri su Amazon con qualche variante della parola “empatia” nel titolo. Come con altre cose, sembrerebbe che più si parla di qualcosa, meno ce ne sia. Alcuni temono che se ne parli tanto al punto di farne una vera e propria religione, fondata sulla credenza nel potere dei “sentimenti”. Basterebbe giusto un po’ di bontà per sistemare tutto? Questa è vera empatia? Come dovremmo pensare e comportarci in modo biblico al riguardo?
La simpatia è più un senso di compatimento mentre l’empatia cerca di mettersi nei panni di coloro per i quali si ha compassione. Questo tipo di compassione è enfatizzato nella Scrittura (1 Pietro 3:8), la quale non lascia dubbi che i credenti dovrebbero cercare di essere toccati dall’esperienza degli altri come se fosse la loro: questo significa amare il nostro prossimo come noi stessi (Luca 10:37). In particolare, dobbiamo sperimentare i dolori di coloro che appartengono alla famiglia della fede come se soffrissimo con loro (Ebrei 13:3), come membra dello stesso corpo (1 Corinzi 12:26), secondo l’esempio di Cristo che fu turbato e pianse (Giovanni 11:34-35) per empatia con i suoi amici in lutto. L’empatia può essere diretta bene o male: ha i suoi limiti e può fermarsi ai sentimenti senza passare alla necessaria azione. Quando gli psicologi lodano l’empatia, non hanno un criterio oggettivo per stabilire quando sia giusto essere empatici, né hanno qualcosa di più di un criterio soggettivo per stabilire perché dovremmo sperimentare questi sentimenti; il Vangelo di Cristo, al contrario, offre questo criterio, mostrando la compassione di Cristo che si traduce in azione e fornendoci una ragione per mostrare compassione (Efesini 4:32). L’empatia, però, non è soltanto compassione: essa sperimenta la gioia con gli altri alla pari del dolore (Romani 12:15).
La chiesa dovrebbe essere il luogo dove fiorisce la vera empatia – ma al giorno d’oggi l’empatia è sinonimo di sentimentalismo. Quando l’apostolo Paolo dice di portare i pesi gli uni degli altri in Galati 6:2, questo viene subito dopo il comando di rialzare coloro che sono sorpresi in qualche fallo (Galati 6:1). La compassione significa essere pazienti con la debolezza degli altri per aiutarli, non assecondarli, e li stiamo veramente amando quando ricerchiamo il loro bene spirituale e li incoraggiamo con fermezza alla pari che amore alla santità: questo adempie la legge di Cristo, l’amore reciproco che dovremmo avere gli uni per gli altri che non tollera di vedere il nostro fratello continuare a peccare (Levitico 19:17). La vera empatia è guidata dal Vangelo e dai precetti morali della Scrittura.
James Fergusson mostra come l’apostolo Paolo evidenzi la necessità della vera empatia nel seguente commento a Colossesi 3:12, dove Paolo parla di ciò di cui i credenti devono vestirsi dopo avere enfatizzato ciò di cui devono svestirsi e mettere a morte a partire dal versetto 5 – mostrando cosi il collegamento tra la santità e la vera empatia. L’apostolo enfatizza il fatto che coloro che sono amati da Dio e hanno ricevuto la sua grazia devono vivere in un certo modo nei confronti del loro prossimo: tutte le grazie menzionate al versetto 12 sono in relazione al nostro vicino.
1. LA VERA EMPATIA DERIVA DALLA GRAZIA
Vi è un necessario collegamento tra l’uomo nuovo o i principi della grazia nel cuore e l’esercizio delle virtù cristiane nei nostri doveri nei confronti del prossimo. Paolo dice che ci siamo rivestiti dell’uomo nuovo (v. 10) e pertanto ci esorta ad esercitare e rivestirci di queste virtù.
La consapevolezza della nostra elezione porta alla santità, non all’empietà: così l’apostolo ragiona dalla nostra elezione («vestitevi dunque come eletti di Dio») al nostro esercizio di queste virtù, rivolgendosi a quanti tra di noi hanno veramente ricevuto la grazia di Dio.
2. LA VERA EMPATIA DERIVA DALLA SANTITÀ
La nostra santità deve essere evidente: Paolo collega queste due cose con l’espressione «eletti di Dio santi», dove il secondo termine è una dimostrazione del primo. Il possesso della santità è un motivo formidabile per spronarci a una maggiore santità, così egli ragiona dal nostro essere santi a «vestitevi dunque come eletti di Dio santi».
3. LA VERA EMPATIA DERIVA DALL’AMORE DI DIO
L’amore di approvazione del Signore nei nostri confronti, il suo compiacimento in coloro che danno vera dimostrazione della grazia che hanno ricevuto, approva delle sue grazie in noi (Giovanni 14:21) e questo amore dovrebbe indurci ad amarlo ancora di più e a dimostrare il nostro amore esercitando quelle grazie che egli richiede in relazione al nostro prossimo. Paolo ci chiama diletti, ossia coloro che sono oggetto di questo amore di approvazione del Signore, e ragiona dal nostro essere amati in tal modo: « Vestitevi dunque come…diletti».
4. LA VERA EMPATIA È MISERICORDIOSA
Dovremmo avere una disposizione interiore di simpatia per la miseria altrui. Nell’esortarci a vestirci di misericordia, Paolo fa riferimento alle nostre viscere mosse da essa: la parola esprime un moto del cuore e dell’anima cosi intenso che le nostre stesse viscere sono mosse da esso (il termine originale nel greco denota gli organi come il cuore, il fegato e via dicendo, considerati la sede delle emozioni).
5. LA VERA EMPATIA È ATTIVA
La nostra simpatia per gli altri nella loro miseria dovrebbe essere tangibile e non soltanto interiore, il che avviene aiutandoli nella loro miseria secondo le nostre abilità: questa è la «benignità» di cui dobbiamo vestirci.
6. LA VERA EMPATIA È UMILE
La grazia dell’umiltà fa sì che una persona abbia un’opinione modesta di se stessa a motivo della consapevolezza della propria debolezza (Filippesi 2:3) e ci induce a desiderare che gli altri abbiano una simile opinione di se stessi (1 Corinzi 3:5). L’umiltà è essenziale per ottenere più grazia (1 Pietro 5:5), per cui dobbiamo vestirci di umiltà.
7. LA VERA EMPATIA È PAZIENTE
La grazia della mansuetudine rende una persona ben disposta nei confronti degli altri e non facilmente provocata dall’insensatezza, dalle debolezze e dai piccoli torti che subisce da parte loro; la pazienza tempera l’ira, anche a fronte degli abusi più efferati. La mansuetudine e la pazienza sono grazie necessarie che ci aiutano a sopportare le debolezze degli altri per correggerle (Galati 6:1), ci impediscono di vendicarci (Romani 12:18-19) e nella nostra pazienza ci fanno guadagnare le nostre anime (Luca 21:19). Dobbiamo «vestirci…di mansuetudine e pazienza».
James Fergusson (1621-1667) fu pastore a Kilwinning in Ayrshire; pubblicò diversi commentari ai libri della Bibbia e predicò fedelmente contro il controllo della chiesa da parte del governo civile.
Fonte: Recovering True Empathy in a Fractured World | Reformation Scotland