
di Michael Reeves.
I cristiani hanno sempre scritto e fatto tesoro di dei sommari di ciò che credevano. La Bibbia riporta la prima di queste confessioni di fede in 1 Timoteo 3:16; quindi la chiesa antica post-apostolica produsse diverse affermazioni decisive delle dottrine fondamentali del cristianesimo, come il credo degli apostoli e quello di Nicea, tuttora considerati dei punti di riferimento imprescindibili per l’ortodossia cristiana. Nei secoli che seguirono, i cristiani continuarono a produrre delle confessioni di fede, come la confessione di Augusta (1530), i trentanove articoli di religione della Chiesa anglicana (1562), la confessione di fede di Westminster (1646), la confessione di fede battista di Londra (1689) e via dicendo. La chiesa non è mai stata priva di un credo o una confessione di fede.
La ricetta e il dolce
Tuttavia, nonostante la loro importanza cruciale nella storia della chiesa, le confessioni di fede hanno suscitato reazioni contrastanti da parte dei cristiani: mentre infatti molti credenti sono stati entusiasti delle confessioni di fede, altri hanno invece sostenuto che le confessioni di fede vanno a sostituire una relazione vitale con Dio con un’arida lista di dottrine, rimpiazzando lo Spirito con la lettera e non lasciando altro che un guscio vuoto di ortodossia morta e noiosa. Guardare alle confessioni di fede in questo modo significa però confondere la ricetta con il dolce: le confessioni di fede, come le ricette, sono infatti delle descrizioni degli ingredienti fondamentali della vita di fede, da non confondersi con la realtà stessa. Questo non significa che la descrizione non abbia importanza, poiché degli ingredienti diversi daranno un dolce diverso; ma se cercate di mangiare il foglietto della ricetta invece del dolce, rimarrete amaramente delusi.
Ma vi è una ragione ancora più profonda e sinistra per la nostra diffidenza nei confronti delle confessioni di fede. Questa diffidenza ha avuto inizio nel giardino dell’Eden, quando Adamo ed Eva rifiutarono di dare ascolto a Dio: da quel momento in poi l’umanità ha sempre preferito fingere che Dio non ci abbia parlato, perché se ammettessimo che egli ha parlato, allora dovremmo anche ammettere di essere consapevoli di disobbedirgli e di non essere i signori delle nostre vite e le divinità che ogni giorno fingiamo di essere. La vaghezza a proposito di quello che la Bibbia insegna e l’approssimazione in materia di teologia perpetuano questo errore che risale al giardino dell’Eden: senza delle confessioni di fede ci troviamo a brancolare nel buio, poiché neghiamo che Dio abbia pronunciato la sua luce rivelatrice nel mondo (Giovanni 1:1-5). In questo modo non veniamo disturbati dalla luce rigorosa della rivelazione di Dio e siamo così liberi di vivere nell’ombra, creandoci tutti gli idoli che vogliamo secondo i desideri del nostro cuore e costruendoci una nostra religione basata su delle esperienze che ci fanno sentire bene, sul moralismo o su qualsiasi altra cosa vogliamo.
La storia ci offre numerose dimostrazioni di questa tendenza: ad esempio, nell’Inghilterra del diciassettesimo secolo, un gruppo di teologi chiamati “latitudinari”, stanchi delle interminabili dispute teologiche che erano scaturite dalla Riforma protestante, si fece promotore di un cristianesimo privo di gran parte della sua dottrina. La parola “dottrina” divenne una sorta di parolaccia: per questi teologi, il cristianesimo era principalmente un sistema morale e meno dottrina aveva, più le persone sarebbero state in grado di essere in accordo e comunione, anche se questa unità era fondata sui dettami della morale piuttosto che su Cristo.
In molti modi, i latitudinari furono i precursori dello scetticismo illuminista del diciottesimo secolo nei confronti di ogni dottrina, ben rappresentato da Edward Gibbon, il quale, nel suo monumentale Decline and Fall of the Roman Empire, considera le dispute dottrinali della chiesa antica post-apostolica dei battibecchi irrilevanti. Ad esempio, Gibbon liquida il dibattito suscitato dalla controversia ariana, che vide contrapporsi coloro che sostenevano che Cristo fosse veramente Dio (homoousios) e coloro che lo ritenevano semplicemente una creatura alla quale era stata conferita una posizione di particolare dignità (homoiousios) dicendo: «La differenza tra Homoousion e Homoiousion è quasi impercettibile anche all’occhio teologico più attento» [1]. Per Gibbon si trattava di una diatriba insignificante a proposito della lettera i, eppure la discussione verteva su questioni assai più importanti: Cristo era o non era Dio? Doveva o non doveva essere adorato come Dio? Quella semplice “i” divideva l’ortodossia dall’eresia: gli uni affermavano che Cristo era il Creatore, mentre per gli altri egli non era altro che una creatura. L’allegra indifferenza di Gibbon nei confronti della dottrina potrebbe sostenere con altrettanta facilità che l’unica differenza tra il cristianesimo e l’islam altro non sia che una differenza numerica tra una (Allah) e tre divinità (Padre, Figlio e Spirito Santo); ma noi sappiamo che la precisione dottrinale è importante.
Dio ha parlato?
Se consideriamo che la disposizione naturale che abbiamo ereditato dai nostri progenitori nel giardino dell’Eden e il grosso della storia intellettuale dell’Occidente sono ugualmente ostili alle confessioni di fede, è facile capire perché l’amore per le confessioni di fede è diventato un’offesa impensabile: la rivelazione di Dio, l’idea di una verità oggettiva piuttosto che un sentimento soggettivo, è offensiva per la cultura moderna.
Questo è esattamente lo scopo di una confessione di fede: essa rappresenta il rifiuto di assecondare chi vorrebbe fingere che Dio non abbia parlato. Una confessione di fede afferma che Dio ha parlato con chiarezza e precisione. La sottoscrizione di una confessione di fede è un atto di umiltà, l’ammissione che, per quanto ci piacerebbe, non siamo noi i giudici finali di ciò che è vero e ciò che è falso. Nelle nostre confessioni di fede affermiamo invece che Dio ci ha dato una verità assoluta e non negoziabile. Una confessione di fede rappresenta la nostra risposta obbediente a ciò che Dio ha detto; essa è un riconoscimento che Dio è Dio, e noi no.
Le confessioni di fede sottolineano anche l’importanza di certe dottrine: come scriveva J. Gresham Machen, «Nell’ambito della religione, come in altri ambiti, le cose sulle quali gli uomini sono d’accordo tendono a essere quelle che vale meno la pena di affermare; le cose che hanno veramente importanza sono le cose sulle quali gli uomini si scontrano»[2].
Per questo motivo, le confessioni di fede sono al cuore del cristianesimo: gli elementi essenziali della fede cristiana non sono dei sentimenti sui quali possiamo essere tranquillamente in disaccordo, ma delle verità oggettive e storiche.
Poiché una confessione di fede è una testimonianza della rivelazione di Dio, e questa è una rivelazione che può soltanto essere recepita per fede, il mondo non è in grado di capire ciò che trova nelle confessioni di fede cristiane. Ai suoi occhi, il Dio delle nostre confessioni non è altro che un aguzzino dispotico che vorrebbe imprigionare il pensiero dell’uomo attraverso i propri dettami di ciò che è vero e ciò che è falso e questa opinione è l’unica conclusione possibile per chi non vuole sottostare all’autorità della Parola di Dio; ma gli occhi della fede possono vedere Dio per come egli è nelle confessioni di fede. La vera libertà si può trovare soltanto attraverso la Parola di Dio e lungi dall’essere un aguzzino, il Dio delle confessioni di fede cristiane è un liberatore; in quanto testimonianza della Parola liberatrice di Dio, la confessione di fede cristiana esiste per mettere in mostra la vera opera dello Spirito.
La postura su carta dell’ortodossia
Le confessioni di fede sono la nostra postura su carta dinanzi a Dio e alla sua Parola: umili davanti a essa, in sottomissione a essa, studiosi di essa, a confronto con essa e fedeli a essa nel mondo. Un cristianesimo con dei credi e delle confessioni di fede non è un sottoinsieme dell’ortodossia cristiana, ma al contrario la registrazione dell’ortodossia cristiana. A conti fatti, una confessione di fede ortodossa, che ha dimostrato il proprio valore nel corso di secoli di cristianità, è una cosa senza la quale non vi volete far trovare.
1 Edward Gibbon, The Decline and Fall of the Roman Empire (New York: Random House), vol. 1, ch. xxi, n.155.
2 J. Gresham Machen, Christianity and Liberalism (Grand Rapids, Mich.: Eerdmans, 1923), 1–2.
Fonte:
Don’t be Caught Without a Confession, Copyright 2019, da Michael Reeves, Ligonier Ministries.
Con permesso tradotto da A.P.