
di B.B. Warfield.
La dottrina dello Spirito di Dio è un dottrina esclusivamente biblica. Rückert ci dice che l’idea connotata da questo termine è completamente estranea alla cultura ellenistica, e fece la sua prima comparsa nel mondo attraverso il cristianesimo;[2] e Kleinert, nel citare questa affermazione, aggiunge che ciò che rende tale concetto peculiarmente anti-pagano è già presente nell’Antico Testamento.[3] Sembrerebbe, allora, che i tratti fondamentali della dottrina biblica dello Spirito di Dio siano comuni a entrambi i Testamenti.
Incontriamo lo “Spirito di Dio” subito all’inizio dell’Antico Testamento, dove questo nome fa la sua comparsa senza presentazioni o spiegazioni alla pari che nei versetti iniziali del Nuovo Testamento: evidentemente, parlarne non era una novità per l’autore di Genesi più di quanto non lo fosse per l’autore di Matteo. Ma nonostante sia comune a entrambi i Testamenti, tale nome non è ugualmente comune in tutte le parti della Bibbia: esso non compare nell’Antico Testamento con la stessa frequenza con cui compare nel Nuovo, viene menzionato nelle sole epistole di Paolo quanto in tutto l’Antico Testamento, non è diffuso nell’Antico Testamento come nel Nuovo, ed è presente in ogni libro del Nuovo Testamento ad eccezione delle tre brevi lettere personali di Filemone, 2 Giovanni e 3 Giovanni. Di contro, il termine è chiaramente menzionato soltanto in una ventina dei trentanove libri dell’Antico Testamento,[4] mentre in sedici di essi sembra mancare qualsiasi allusione esplicita a esso.[5] Il principio che ne governa l’uso o disuso non risulta immediatamente evidente. A volte questo può forse essere in parte dovuto alla natura del soggetto di cui si sta parlando, ma se lo Spirito di Dio non è menzionato in Levitico, lo è in Numeri; se non è menzionato in Giosuè o Rut, lo è in Giudici e Samuele; se non è menzionato in Esdra, lo è in Neemia; se non è menzionato in Geremia, lo è in Isaia ed Ezechiele; se non è menzionato in sette o otto dei profeti minori, lo è negli altri quattro o cinque. La sua comparsa in un libro veterotestamentario sembra dipendere da tutta una serie di circostanze di scarsa o nessuna importanza per la storia della dottrina; a noi basta osservare che incontriamo il nome “Spirito di Dio” subito all’inizio del testo rivelato, e tale nome (o i suoi equivalenti) ci accompagnano in modo intermittente per tutto il resto delle sacre pagine. Il Pentateuco e i libri storici ci offrono i principi generali della dottrina, mentre i più ricchi depositari della medesima tra i profeti sono Isaia ed Ezechiele, da ciascuno dei quali si potrebbe probabilmente derivare l’intera dottrina.[6]
Nel passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento, il lettore non è consapevole di nessuna radicale discontinuità nell’idea dello Spirito che trova nei due testi. Certo, egli può osservare la maggiore frequenza con cui il nome compare nel testo, ma noterebbe la stessa cosa nel passaggio dai primi capitoli dell’epistola ai Romani a quelli successivi; può notare una maggiore definitezza e pienezza dell’idea in sé, ma noterebbe qualcosa di simile a questo nel passaggio dal Pentateuco a Isaia, o da Matteo a Giovanni o Paolo. Il compianto professor Smeaton può aver esagerato nelle sue interessanti lezioni sulla Dottrina dello Spirito Santo, quando dice:
Vediamo che la dottrina dello Spirito insegnata da Giovanni Battista, da Cristo e dagli apostoli era sotto ogni aspetto la stessa dottrina nota alla chiesa veterotestamentaria. Non vediamo da nessuna parte i loro ascoltatori giudaici sollevare mai delle obiezioni alla loro dottrina: l’insegnamento del nostro Signore e dei suoi apostoli non suscitò mai domande o obiezioni da parte di nessuno, una chiara dimostrazione del fatto che a questo proposito non insegnarono niente che entrasse in collisione con i sentimenti e le opinioni che fino ad allora erano state accettate e continuavano a essere in voga tra i giudei.
Bisogna indubbiamente riconoscere alcuni di questi cambiamenti nell’idea di Dio, come quello così descritto dal dott. Denney:
Gli apostoli erano tutti giudei, uomini, com’è stato detto, con la passione per il monoteismo nel sangue.[7] Non smisero di essere monoteisti quando divennero predicatori di Cristo, ma naturalmente la loro concezione di Dio era diversa da quella che la rivelazione precedente aveva insegnato loro. […] Vi erano delle distinzioni in quella che un tempo era stata la fondamentale semplicità della natura divina. La distinzione tra Padre e Figlio era la più ovvia; ed era arricchita, sulla base dell’insegnamento di Cristo e dell’effettiva esperienza della chiesa, dall’ulteriore distinzione dello Spirito Santo.[8]
Ma se vi è qualche differenza fondamentale tra la concezione vetero- e neotestamentaria dello Spirito di Dio, questa ci sfugge nella nostra lettura ordinaria della Bibbia, e naturalmente e quasi inconsapevolmente vediamo le nostre concezioni neotestamentarie nei passaggi dell’Antico Testamento.
A dirci di farlo è, di fatto, il Nuovo Testamento stesso. Gli autori del Nuovo Testamento identificano il loro “Spirito Santo” con lo “Spirito di Dio” dei libri precedenti. Tutto ciò che è attribuito allo Spirito di Dio nell’Antico Testamento, essi attribuiscono alla loro persona dello Spirito Santo. Era il loro Spirito Santo che guidò e diresse Israele, e che Israele ripudiò quando oppose resistenza alla guida di Dio (Atti 7:51); era in lui che Cristo (indubbiamente nella persona di Noè) predicò agli antidiluviani (1 Pietro 3:18); era lui l’autore della fede in passato come anche tuttora (2 Corinzi 4:13); era lui che diede a Israele il suo culto (Ebrei 9:8); ed era lui che parlò in e attraverso Davide, Isaia e tutti i profeti (Matteo 22:43; Marco 12:36; Atti 1:16; 28:25; Ebrei 3:7; 10:15). Se Zeccaria (7:12) o Neemia (9:20) ci dicono che il Signore degli eserciti rivolse la sua Parola al suo popolo per mezzo del suo Spirito per mezzo dei profeti, Pietro ci dice che questi uomini di Dio furono sospinti dallo Spirito Santo a riportare queste parole (2 Pietro 1:21), e anche che era specificamente lo Spirito di Cristo a essere nei profeti (1 Pietro 1:11); ci viene assicurato che è in Gesù, sul quale lo Spirito Santo discese in forma visibile, che le predizioni di Isaia che il Signore avrebbe messo il suo Spirito sul suo giusto servo (Isaia 42:1) e che lo Spirito del Signore Dio sarebbe stato su di lui (Isaia 61:1) furono adempiute (Matteo 12:18; Luca 4:18-19); e Pietro ci dice di guardare alla discesa dello Spirito Santo a Pentecoste come all’adempimento della promessa di Gioele che Dio avrebbe sparso il suo Spirito su ogni persona (Gioele 2:27-28; Atti 2:16).[9] Non vi può essere alcun dubbio che gli autori del Nuovo Testamento identificano lo Spirito Santo del Nuovo Testamento con lo Spirito di Dio dell’Antico Testamento.
Questo fatto, naturalmente, più che giustifica l’istintiva identificazione cristiana. Siamo certi, con la certezza di una rivelazione divina, che lo Spirito di Dio dell’Antico Testamento è la persona dello Spirito Santo del Nuovo Testamento; ma questa certezza non ci impedisce di domandarci se questa persona dello Spirito fosse rivelata con tale pienezza nell’Antico Testamento che coloro che erano dipendenti unicamente da quella rivelazione, senza il commento ispirato del Nuovo Testamento, erano in grado di conoscerlo come lo conosciamo noi che godiamo di una rivelazione più completa. Il principio della trasmissione progressiva della dottrina nel lungo processo dell’auto-rivelazione di Dio non è soltanto di per sé ragionevole e giustificato dai risultati del suo studio, ma è dato per assodato nelle Scritture stesse come il modo in cui Dio si rivela, e ha ricevuto l’approvazione di fatto del nostro Salvatore nella sua maniera di comunicare la sua verità salvifica agli uomini. La questione della misura in cui la dottrina dello Spirito Santo, com’è delineata nella sua completezza nelle pagine del Nuovo Testamento, era già stata trasmessa agli uomini della vecchia dispensazione, rimane dunque una questione aperta; in altre parole, qual è la dottrina veterotestamentaria dello Spirito di Dio? Non risulterà essere in contrasto con l’insegnamento più completo del Nuovo Testamento, ma potrebbe risultare inferiore a tutta la verità rivelata negli ultimi giorni nel Figlio di Dio.
La profonda unità tra la concezione dell’Antico e quella del Nuovo Testamento risulta così evidente, in un’ampia circostanza, nei due Testamenti che la nostra attenzione ne viene carpita all’inizio di qualsiasi studio del materiale. In entrambi i Testamenti lo Spirito di Dio compare distintamente come l’agente della Deità. Se nel Nuovo Testamento Dio compie tutte le sue opere per mezzo dello Spirito, nell’Antico Testamento lo Spirito è il nome di Dio all’opera. Lo Spirito di Dio è nell’Antico Testamento il nome esecutivo di Dio, «il principio divino di attività all’opera in tutto il mondo».[10] In questa comune concezione risiede indubbiamente la ragione principale per cui passiamo da un Testamento all’altro senza alcun senso di discontinuità nella dottrina dello Spirito. La misura ulteriore in cui questa unità può essere identificata dipenderà dalla natura delle attività che sono ascritte allo Spirito in entrambi i Testamenti.
È naturale che l’Antico Testamento non ci fornisca un resoconto esaustivo di tutte le attività di Dio, essendo principalmente una cronaca dell’opera redentrice di Dio prima della venuta del Messia, o, in breve, del progresso fino ad allora della nuova creazione della grazia edificata sulle rovine della prima creazione, una breve descrizione della quale le è anteposta come antefatto e fondamento. Stando così le cose, nell’Antico Testamento impariamo soltanto di quelle attività di Dio che vengono naturalmente alla luce in questi resoconti, e di conseguenza la dottrina dello Spirito di Dio come principio attivo di Dio, per come è insegnata nell’Antico Testamento, è necessariamente limitata al corso delle attività di Dio nella prima creazione e nelle fasi iniziali della seconda o, in altre parole, è sussumibile sotto le due intestazioni generali di “Dio nel mondo” e “Dio nel suo popolo”. Da questo deriva il fatto che è stato spesso osservato, che dopo l’ingresso del peccato nel mondo, l’opera dello Spirito di Dio sugli spiriti degli uomini è sempre presentata nell’Antico Testamento nell’interesse e nello spirito del regno di Dio.[11] In seguito al peccato dell’uomo, l’Antico Testamento si interessa soltanto della salvezza dell’uomo, delineando le fasi preparatorie del regno di Dio in cui Dio ne pone le fondamenta in una nazione eletta nella quale tutte le nazioni della terra sarebbero state benedette. La separazione di Israele e l’istituzione della teocrazia rappresentano così i primi passi della nuova creazione, e seguendo questo corso dell’opera di Dio è naturale che la dottrina dello Spirito nella nuova creazione insegnata dall’Antico Testamento riguardi soprattutto le attività di Dio nell’istituzione e sviluppo della teocrazia e nella preparazione di un popolo che avrebbe goduto delle sue benedizioni, o in altre parole ricada sotto le due intestazioni della sua opera nazionale, o meglio ecclesiastica, e individuale. Così l’insegnamento dell’Antico Testamento a proposito dello Spirito ci presenta tre sfere della sua attività, che corrispondono generalmente alle idee di “Dio nel mondo”, “Dio nella teocrazia” e “Dio nell’anima”.
In generale, queste tre sfere dell’attività dello Spirito compaiono l’una dopo l’altra nelle pagine dell’Antico Testamento, nelle quali lo Spirito di Dio ci viene presentato primariamente nelle sue relazioni dapprima cosmiche, quindi teocratiche e infine individuali.[12] Questo fatto, naturalmente, è dovuto principalmente alla naturale corrispondenza degli aspetti della sua attività che sono presentati in tali pagine con il corso della storia, e non dovrebbe essere interpretato con tale rigore da insinuare che le rivelazioni relative alle varie sfere della sua opera si verifichino esclusivamente in una sola parte dell’Antico Testamento; però ci fornisce non soltanto le linee generali dello sviluppo storico della dottrina dello Spirito nell’Antico Testamento, ma anche un ordine logico per la presentazione del materiale. Possiamo forse aggiungere, per inciso, che esso suggerisce una traiettoria dello sviluppo della dottrina dello Spirito che è allo stesso tempo la più naturale e, di fatto, razionalmente inevitabile, e come evidenziato dal dott. Dale[13] strettamente corrispondente con quelle che sono venute a essere considerate le date “tradizionali” attribuite ai libri dell’Antico Testamento, i quali, trovandosi nella sequenza stabilita da questa datazione, vengono a trovarsi nell’ordine più naturale per lo sviluppo di questa dottrina.
LO SPIRITO COSMICO
I. Lo Spirito di Dio ci è dunque presentato nell’Antico Testamento anzitutto nelle sue relazioni con la prima creazione, o in quelle che possono essere definite le sue relazioni cosmiche. In questo contesto egli è rappresentato come la fonte di ogni ordine, vita e luce nell’universo, ed è il principio divino di ogni movimento, di ogni vita e di ogni pensiero nel mondo. Il fondamento di questa idea è già posto saldamente nel primo passaggio in cui è menzionato lo Spirito di Dio (Genesi 1:2): nel principio, ci viene detto, Dio creò i cieli e la terra. Quella che segue è la descrizione del processo per mezzo del quale la terra creata, inizialmente informe e vuota, con le tenebre che coprivano la faccia dell’abisso, fu trasformata da una serie di comandi nel mondo ordinato e popoloso in cui viviamo. Il fondamento di tutto questo processo, ci viene detto, è che «lo Spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque», come a dire che l’obbedienza, e la capacità di obbedire a essa precedente, della massa informe delle acque alla sequenza delle parole creative di Dio, quando egli disse «Sia luce»; «Vi sia una distesa tra le acque»; «Le acque che sono sotto il cielo siano raccolte in un unico luogo»; «Produca la terra della vegetazione», dipendevano dal fatto che lo Spirito di Dio stava già aleggiando su quel vuoto informe, e alla voce di Dio in cielo che diceva «Sia luce» l’energia dello Spirito di Dio che aleggiava sulla superficie delle acque rispose «E luce fu». Di contro a un Dio trascendente al di sopra della creazione, sembra che qui sia postulato un Dio che aleggiava sulla creazione, e che il suggerimento sia che è soltanto in virtù del fatto che Dio aleggiava sulla creazione che la cosa creata si muove, agisce e adempie la volontà di Dio; lo Spirito di Dio, in breve, compare subito all’inizio della Bibbia come Dio immanente, e come tale è contrapposto a Dio trascendente. È certamente assai istruttivo osservare come Dio sia ritenuto immanente già in quella che potrebbe essere definita la materia informe del mondo che, solamente per la sua immanenza in essa, viene a costituire un materiale dal quale, al comando di Dio, poteva emergere un mondo ordinato.[14] Lo Spirito di Dio fa così la sua comparsa fin dall’inizio dell’Antico Testamento come il principio dell’esistenza e della permanenza stessa di ogni cosa, e come la fonte e la causa originante di ogni movimento, ordine e vita. Il pensiero, la volontà e la parola di Dio hanno effetto nel mondo perché Dio è non soltanto al di sopra del mondo, pensando, decretando e comandando, ma anche nel mondo, come il principio di ogni attività, eseguendo: questo sembra essere il pensiero dell’autore della cosmogonia della Bibbia.[15]
Una serie di passaggi veterotestamentari includono e sviluppano questa idea. È con lo Spirito di Dio, dice Giobbe, che i cieli sono stati abbelliti (26:13 LND), mentre Isaia paragona l’avvento del Dio delle vendette, che rende il furore ai suoi avversari e il contraccambio ai suoi nemici, allo straripamento di una fiumana che lo Spirito del Signore mette in fuga (59:19), e la transitorietà della carne all’erba che si secca e al fiore che appassisce quando lo Spirito del Signore vi passa sopra (40:7 LND): in questi passaggi, lo Spirito è rappresentato come il principio dei processi cosmici. Egli è anche la fonte di ogni vita, e in quanto tale l’esecutore di colui nel quale, come dice il salmista, è la fonte della vita (Salmi 36:9). Di conseguenza il salmista gli ascrive l’esistenza di tutte le creature: «Tu mandi il tuo Spirito e sono creati» (Salmi 104:30), mentre Giobbe dichiara: «Lo Spirito di Dio mi ha creato, e il soffio dell’Onnipotente mi dà la vita» (33:4) e afferma che la vita è dovuta alla permanenza dello Spirito di Dio nelle sue narici (27:3), e che di conseguenza la sua continuazione dipende dalla continuazione dello presenza dello Spirito con l’uomo: «Se egli non si curasse che di se stesso, se ritirasse a sé il suo Spirito e il suo soffio, ogni carne perirebbe all’improvviso e l’uomo ritornerebbe in polvere» (34:14-15, cfr. 12:10). Egli è anche la fonte di ogni vita intellettuale. Elihu ci dice che non è la grandezza o l’età, ma lo Spirito di Dio a rendere intelligenti: «Ma quel che rende intelligente l’uomo è lo spirito, è il soffio dell’Onnipotente» (32:8), un pensiero che è probabilmente solo espresso differentemente in Proverbi 20:27, dove leggiamo che «lo spirito dell’uomo è una lucerna del Signore, che scruta tutti i recessi del cuore». Che lo Spirito sia anche la fonte di ogni vita etica sembra conseguire dalle oscure parole di Genesi 6:3: «Il Signore disse: “Lo Spirito mio non contenderà per sempre con l’uomo poiché, nel suo traviamento, egli non è che carne”». Apparentemente qui vi è o una minaccia diretta da parte del Signore di ritirare quello Spirito in virtù del quale soltanto vi possono essere dei principi morali nel mondo, oppure una minaccia di ritirare a motivo del loro peccato lo Spirito, la cui presenza dà la vita, così che gli uomini non siano più sostenuti nella loro esistenza malvagia, ma tornino al nulla. In un modo o nell’altro, le implicazioni etiche di questo passaggio sono evidenti: l’opportunità della distruzione dell’umanità ha carattere etico, e il dono della vita sembra essere subordinato a fini etici. Questo, tuttavia, è un elemento dell’idea dell’opera dello Spirito che viene a essere enunciato chiaramente solo in un altro contesto.
Sarebbe difficile sopravvalutare l’importanza della pronta comparsa di questa dottrina dell’immanenza dello Spirito di Dio unitamente alla grandiosa dottrina della trascendenza di Dio che pervade l’Antico Testamento. Qualsiasi tendenza al deismo possa essere generata dall’enfasi sulla trascendenza di Dio sarebbe immediatamente corretta dall’insegnamento a proposito dell’immanenza dello Spirito, e similmente qualsiasi tendenza al panteismo o al cosmoteismo che tale insegnamento potrebbe suscitare sarebbe corretta non soltanto dall’enfasi prevalente sulla trascendenza divina, ma anche dalla maniera in cui l’immanenza di Dio è a sua volta presentata. È difficile ammirare sufficientemente la perfezione con cui, nella trasmissione della dottrina dell’immanenza dello Spirito, è esclusa ogni possibilità di pensare che Dio sia immischiato nella creazione come se lo Spirito di Dio non fosse altro che lo spirito del mondo materiale, il vero fondamento piuttosto che la causa efficiente delle attività cosmiche. Nella terminologia stessa di Genesi 1:2, ad esempio, lo Spirito che muove la materia è tenuta separato dalla materia che mette in movimento; egli aleggia sulla superficie delle acque piuttosto che fondersi con esse, agisce su di esse e non può essere confuso con esse come se non fosse che un altro nome per il loro cieco sciabordare. Così nel Salmo 104 (vv. 29-30) lo Spirito creatore è mandato da Dio e non è semplicemente un nome alternativo per l’inconsapevole forza vitale della natura, ma è qualcosa che è dato da Dio e così produce la vita (Isaia 42:5). Anche se penetra ogni cosa (Salmo 139:7) ed è la fonte immanente di ogni attività vitale (Salmo 104:30), è ciononostante sempre la causa personale di ogni attività fisica, psichica ed etica. Egli opera delle scelte. Non è semplicemente il fondamento generale di tutte queste attività, ma anche il fattore determinante di tutte le differenze che esistono tra gli uomini: così, ad esempio, Elihu fa appello allo Spirito di intelligenza che è in lui (Giobbe 32:8). Non è nemmeno semplicemente il fondamento della presenza di queste facoltà, ma gli va attribuita anche la loro rimozione (Isaia 40:7; Genesi 6:3). Né le sue manifestazioni sono limitate unicamente a quelli che possono essere definiti dei modi di agire naturali; tra di esse vi è posto per quella che possiamo definire un’attività veramente soprannaturale (1 Re 18:18; 2 Re 2:16; cfr. 2 Re 19:7; Isaia 38:7). Ogni culto della natura è inoltre escluso dalla chiarezza dell’identificazione dello Spirito di Dio con il Dio che è al di sopra di tutte le cose: così l’unità di Dio era non soltanto preservata, ma anche enfatizzata, e agli uomini era insegnato di guardare alla manifestazione della potenza e degli effetti di Dio nella natura come all’opera delle sue mani. Quando il salmista domanda: «Dove potrei andarmene lontano dal tuo Spirito, dove fuggirò dalla tua presenza?» (Salmi 139:7), la presenza spirituale di Dio è chiaramente la presenza del Dio che è al di sopra di tutte le cose nel suo Spirito; similmente, Isaia domanda: «Chi ha […] preso le dimensioni del cielo con il palmo? […] Chi ha preso le dimensioni dello Spirito del Signore o chi gli è stato consigliere per insegnargli qualcosa?» (40:12-13). È evidente che lo Spirito di Dio non era ritenuto il fondamento impersonale della vita e dell’intelligenza, ma la fonte personale di ogni esistenza, vita e luce nel mondo, né separato dal grande Dio Onnipotente nei cieli, ma tutt’uno con lui; e tuttavia, in quanto immanente nel mondo, è contrapposto al Dio trascendente in una maniera che spiana la strada per la sua ipostatizzazione e così per la dottrina cristiana della Trinità.
Non occorre soffermarsi a lungo su ciò che è stato detto finora per rendersi conto di quanto la concezione veterotestamentaria di Dio sia arricchita da questo insegnamento. In particolare, ci sembra opportuno osservare come, unitamente all’enfasi posta sul fatto che Dio è il creatore di ogni cosa, questa dottrina pone altrettanta enfasi sul fatto che Dio è il sostenitore e governatore di ogni cosa; e unitamente all’enfasi posta sulla maestà inavvicinabile di Dio in quanto persona trascendente, pone altrettanta enfasi sul fatto che Dio è l’agente immanente di ogni cambiamento e moto nel mondo; in tal modo ponendo saldamente il fondamento della dottrina cristiana della provvidenza, secondo la quale Dio è nel mondo e nella storia, conducendo tutte le cose al loro fine prestabilito. Se senza Dio non è stata fatta nessuna delle cose che sono state fatte, così senza lo Spirito di Dio non è avvenuta nessuna delle cose che sono avvenute.
LO SPIRITO TEOCRATICO
II. Tutto questo è ulteriormente enfatizzato nel secondo e predominante aspetto nel quale lo Spirito di Dio ci è presentato nell’Antico Testamento, e cioè nelle sue relazioni con la seconda creazione.
1. Qui egli ci è principalmente presentato come la fonte di tutte quelle facoltà e attività soprannaturali che sono finalizzate all’istituzione, preservazione e sviluppo del regno di Dio nel mezzo di un mondo malvagio. Egli è così rappresentato come lo Spirito teocratico con la stessa chiarezza con cui è rappresentato come lo spirito del mondo. Qui ci muoviamo in un’atmosfera spiccatamente soprannaturale e le attività che prendiamo in considerazione appartengono a un ordine interamente soprannaturale. Vi è una grande varietà di queste attività, ma hanno in comune il fatto di essere finalizzate a dotare gli organi teocratici dei doni necessari per l’adempimento delle loro funzioni.[16]
Vi sono, ad esempio, i doni soprannaturali della forza, risolutezza, energia e coraggio in battaglia che erano risvegliati nelle guide scelte da Dio per il servizio del suo popolo. Così ci viene detto che lo Spirito del Signore venne su Otniel per renderlo idoneo a giudicare Israele (Giudici 3:10), rivestì Gedeone (6:34), venne su Iefte (11:29) e, più sorprendentemente di tutto, investì Sansone e lo animò, conferendogli una forza sovrumana (13:25; 14:6, 19; 15:14); similmente, lo Spirito di Dio investì Saul (1 Samuele 11:6) e Davide (1 Samuele 16:13) e rivestì Amasai (1 Cronache 12:19). In secondo luogo, vi sono i doni soprannaturali della sapienza con cui gli artigiani furono resi idonei a servire il regno di Dio nella preparazione di un degno santuario per l’adorazione del Re. Vi erano, ad esempio, quelli che il Signore aveva riempito di spirito di sapienza e che dunque erano sapienti per fare i paramenti sacri di Aaronne (Esodo 28:3), e in particolare ci è detto che il Signore aveva riempito Besaleel «dello Spirito di Dio, per dargli sapienza, intelligenza e conoscenza per ogni sorta di lavori, per concepire opere d’arte, per lavorare l’oro, l’argento e il bronzo, per incidere pietre da incastonare, per scolpire il legno, per eseguire ogni sorta di lavori» (Esodo 31:3-5; cfr. 35:31) e perché presiedesse all’opera dei sapienti, nei quali il Signore aveva posto la sapienza, per la costruzione del tabernacolo e del suo arredamento; similmente, quando venne il momento di costruire il tempio, ci è detto che il piano per la sua costruzione fu dato dal Signore a Davide «per lo Spirito» (1 Cronache 28:12 LND). Relativamente vicino a questi doni, ma un gradino più in alto, troviamo il dono soprannaturale della sapienza per l’amministrazione della giustizia e del governo. Mosè aveva ricevuto questo dono, e pertanto anche i settanta anziani lo avevano ricevuto per essere idonei a condividere il suo fardello: «Prenderò lo Spirito che è su te», disse il Signore, «e lo metterò su di loro, perché portino con te il carico del popolo e tu non lo porti più da solo» (Numeri 11:17, 25),[17] ed è indubbiamente anche in questo senso che ci è detto che Giosuè era pieno dello Spirito di sapienza (Numeri 27:18; Deuteronomio 34:9).[18] Sotto questi aspetti il dono dello Spirito, essendo finalizzato alla preparazione per un incarico, è talvolta congiunto sacramentalmente a dei simboli del suo conferimento: nel caso di Giosuè all’imposizione delle mani (Deuteronomio 34:9), nei casi di Saul e Davide all’unzione con olio (1 Samuele 10:1; 16:13). È possibile che la sua congiunzione simbolica con la lunghezza nazirea dei capelli nel caso di Sansone possa rientrare nella stessa categoria generale.
Al di sopra di tutti gli altri doni teocratici dello Spirito, tuttavia, vi sono i doni di conoscenza e discernimento soprannaturale che culminano nel grande dono della profezia. Questo, il più grande dei doni nel servizio del regno di Dio, è talvolta congiunto assai strettamente agli altri doni che abbiamo menzionato: così la presenza dello Spirito nei settanta anziani nel deserto, che li aveva resi idonei a condividere il fardello dell’amministrazione della giustizia con Mosè, fu manifestata per mezzo di parole profetiche (Numeri 11:25) e la discesa dello Spirito su Saul fu similmente manifestata dal suo profetizzare (1 Samuele 10:6, 10). Talvolta la presenza dello Spirito nel profeta si manifesta anche nella produzione in altri di quella che può essere definita profezia simpatica accompagnata da estasi, come nel caso dei messaggeri inviati da Saul e di Saul stesso quando andarono a catturare Davide (1 Samuele 19:20, 23), nel qual caso il fenomeno serviva anche allo scopo di proteggere i profeti,[19] mentre nelle visioni di Ezechiele la presenza dello Spirito ispiratore è manifestata in effetti fisici oltre che mentali (3:12, 14, 24; 8:3; 11:1, 5, 25; 37:1). Così è chiaro che tutte queste cose le opera quell’unico e medesimo Spirito.
In ogni caso, però, la profezia è il libero dono dello Spirito di Dio a organi speciali scelti allo scopo di rivelare la sua volontà, come nei casi di Balaam (Numeri 24:2), Saul (1 Samuele 10:6), Davide (1 Samuele 16:13), Azaria, figlio di Oded (2 Cronache 15:1), Iaaziel, figlio di Zaccaria (2 Cronache 20:14) e Zaccaria, figlio di Ieoiada (2 Cronache 24:20). Per Osea, «l’uomo ispirato» era sinonimo di “profeta” (9:7), e Isaia (48:16) in un’espressione per certi versi enigmatica dichiara: «Ora, il Signore, Dio, mi manda con il suo Spirito», in cui sembra congiungere lo Spirito o al Signore in quanto fonte della sua missione, oppure al profeta in quanto portatore del messaggio; e, in un caso o nell’altro, riconduce l’ispirazione profetica allo Spirito. Un’idea più completa della natura dell’opera dello Spirito nell’ispirazione profetica ci è fornita dai dettagli dati da Ezechiele relativamente al modo in cui lo Spirito si rapporta a lui nel comunicargli le sue visioni, mentre la ricchezza del dono profetico è così descritta da Michea (3:8): «Ma, quanto a me, io sono pieno di forza, dello Spirito del Signore, di giustizia e di coraggio, per far conoscere a Giacobbe la sua trasgressione e a Israele il suo peccato». Vi sono, tuttavia, due passaggi che parlano in senso generale dell’intero corpo dei profeti come di uomini guidati dallo Spirito che, nella loro tersa chiarezza, meritano di essere definiti i classici passaggi relativi all’ispirazione profetica. In uno di questi, il grande salmo-preghiera dei leviti riportato in Neemia 9, Dio è anzitutto lodato per aver dato al suo popolo il suo «buono Spirito per istruirli» per bocca di Mosè, e quindi per avere avuto pazienza con il suo popolo per molti anni e averlo avvertito «per mezzo del tuo Spirito e per bocca dei tuoi profeti» (vv. 20, 30). Qui i profeti sono pensati come un corpo di messaggeri ufficiali, attraverso i quali lo Spirito di Dio ha reso nota la sua volontà al suo popolo in ogni età. Similmente, Zaccaria attesta che il Signore degli eserciti aveva mandato le sue parole «per mezzo del suo Spirito, per mezzo dei profeti del passato» (7:12). Si tratta di affermazioni assai comprensive, che includono tutti i profeti e li rappresentano come i portavoce ufficiali dello Spirito di Dio, che servivano il popolo di Dio come i suoi organi.[20]
È sufficientemente chiaro che un carattere pubblico accompagna tutte le manifestazioni di quello che abbiamo chiamato lo Spirito teocratico. Lo Spirito teocratico sembra essere rappresentato come l’esecutore della Deità all’interno della nazione santa, la potenza divina all’opera in essa per la protezione, il governo, l’istruzione e la guida del popolo verso il suo fine prestabilito. La preghiera dei leviti in Neemia 9 ripercorre la storia del popolo di Dio nel dettaglio, e per tutto il corso di tale storia rappresenta un Dio che non si limita a guardare dal cielo il suo popolo per guidarlo, ma che per così dire opera in esso, ispirando degli organi per il suo governo e istruzione, “rivestendo” questi organi come mezzi del suo operato, come l’ebraico talvolta suggerisce in maniera assai espressiva (Giudici 6:34; 1 Cronache 12:18; 2 Cronache 24:20). L’aspetto nel quale si sembra pensare allo Spirito teocratico è come Dio nel suo popolo, che si manifesta attraverso strumenti ispirati con una guida e un insegnamento soprannaturali. Assai illuminanti relativamente alla modalità del suo operato sono le istruzioni date attraverso i profeti Zaccaria e Aggeo a Zorobabele, al quale (e con lui tutti gli abitanti del paese) è detto di essere forte e coraggioso «“perché io sono con voi”, dice il Signore degli eserciti, “secondo il patto che feci con voi quando usciste dall’Egitto. Il mio Spirito è in mezzo a voi, non temete!”» (Aggeo 2:4-5). «Questa è la parola che il Signore rivolge a Zorobabele: “Non per potenza, né per forza, ma per lo Spirito mio”, dice il Signore degli eserciti» (Zaccaria 4:6). I massicci dell’opposizione saranno appianati, ma non attraverso la forza delle armi: il simbolo della fonte della forza che li appianerà sono le sette lampade che risplendono vivamente grazie alla perenne fornitura d’olio proveniente dai due ulivi che crescono vicino a esse, a significare come, grazie a un’invisibile fornitura divina di vita immortale, la chiesa di Dio vive e prospera nel mondo. Questo, certamente, non significa che Dio inabita Israele al punto che tutto ciò che la casa di Israele fa proviene dal Signore: «E detto, o casa di Giacobbe: “E lo Spirito dell’Eterno limitato, o sono queste le sue opere? Non rendono forse le mie parole raggiante chi cammina rettamente?”» (Michea 2:7 LND). Il dono dello Spirito è soltanto per il bene; ma qui ci sono presentati assai chiaramente il fatto e la modalità dell’ispirazione pubblica di Dio. Lo Spirito teocratico rappresenta, in breve, la presenza di Dio con il suo popolo, e nell’insegnamento veterotestamentario al riguardo è posto saldamente il fondamento della dottrina cristiana della presenza di Dio con la chiesa, guidandola, conducendola, e fornendola di ogni istruzione, potenza e grazia necessaria per la sua preservazione nel mondo.
Non dobbiamo mancare di osservare che in questa sfera superiore dello Spirito teocratico la libertà e, per così dire, il distacco dello Spirito informatore sono difesi ancora più strenuamente che nel caso delle sue relazioni cosmiche. Se in quella sfera inferiore lo Spirito aleggiava sulla materia piuttosto che essere sommerso in essa, così qui egli agisce nello stesso senso sugli organi che sceglie dall’esterno, con il risultato che risulta impossibile confondere i suoi doni pubblici con le facoltà innate degli organi di cui si serve, per quanto eccellenti. Anche qui lo Spirito è dato da Dio (Numeri 11:29; Isaia 42:1), il quale lo mette sugli uomini o li riempie di esso (Numeri 11:25; Esodo 28:3; 31:3); o lo Spirito viene sugli uomini (Giudici 3:10; 11:29), li investe (14:6, 9; 1 Samuele 11:6), cade su di loro (Ezechiele 11:5), si avventa su di loro, se ne per così dire impadronisce e li riveste come un indumento (Giudici 6:34). Questo non è meno vero nel caso dei profeti che in quello degli altri organi dell’opera teocratica dello Spirito: tutti questi sono gli strumenti di una formidabile potenza che, anche se in un senso è ritenuta la dote del popolo teocratico, in un altro senso è considerata impadronirsi dei suoi organi dall’esterno e dall’alto, e «poiché risulta così essere fondamentalmente una potenza che si impadronisce dell’uomo con vigore e spesso violenza», è spesso descritta con l’espressione “la mano del Signore”[21] la quale, usata in tal senso, equivale allo Spirito del Signore (2 Re 3:15; Ezechiele 1:3; 3:14, 22; 33:22; 38:1; 40:1). Il carattere intermittente dei doni teocratici ne enfatizza ulteriormente il dono da parte di uno Spirito personale che opera con intenzionalità: essi non erano proprietà permanente degli organi teocratici, da usarsi secondo la loro volontà, ma andavano e venivano secondo il dono divino.[22] I doni teocratici dello Spirito sono, in breve, enfaticamente doni provenienti da Dio alla pari che di Dio ovunque se ne parli; e ogni tendenza a reputarli formalmente il risultato di un’ispirazione generale della nazione invece che di un’ispirazione speciale di certi organi è respinta da ogni allusione a essi. Dio, nell’operare in e attraverso l’uomo tramite qualsiasi tipo di ispirazione, opera divinamente e dall’alto: egli non si fonde con la sua chiesa più di quanto non si fonda con la creazione, ma è ugualmente in tutte le sue operazioni lo Spirito libero e trascendente, che distribuisce i doni a ciascuno in particolare come vuole.
Le rappresentazioni dello Spirito teocratico pubblico culminano nelle descrizioni profetiche di Isaia del Messia dotato dello Spirito di Dio:
Poi un ramo uscirà dal tronco d’Isai, un rampollo spunterà dalle sue radici. Lo Spirito del Signore riposerà su di lui: Spirito di saggezza e d’intelligenza, Spirito di consiglio e di forza, Spirito di conoscenza e di timore del Signore. Respirerà come profumo il timore del Signore, non giudicherà dall’apparenza, non darà sentenze stando al sentito dire, ma giudicherà i poveri con giustizia, pronuncerà sentenze eque per gli umili del paese. Colpirà il paese con la verga della sua bocca, e con il soffio delle sue labbra farà morire l’empio. La giustizia sarà la cintura delle sue reni, e la fedeltà la cintura dei suoi fianchi. (Isaia 11:1-5)
«Ecco il mio servo, io lo sosterrò; il mio eletto di cui mi compiaccio; io ho messo il mio Spirito su di lui, egli manifesterà la giustizia alle nazioni. Egli non griderà, non alzerà la voce, non la farà udire per le strade. Non frantumerà la canna rotta e non spegnerà il lucignolo fumante; manifesterà la giustizia secondo verità. Egli non verrà meno e non si abbatterà finché abbia stabilito la giustizia sulla terra; e le isole aspetteranno fiduciose la sua legge». Così parla Dio, il Signore, che ha creato i cieli e li ha spiegati, che ha disteso la terra con tutto quello che essa produce, che dà il respiro al popolo che c’è sopra e lo spirito a quelli che vi camminano. «Io, il Signore, ti ho chiamato secondo giustizia e ti prenderò per la mano; ti custodirò e farò di te l’alleanza del popolo, la luce delle nazioni, per aprire gli occhi dei ciechi, per far uscire dal carcere i prigionieri e dalle prigioni quelli che abitano nelle tenebre. Io sono il Signore; questo è il mio nome; io non darò la mia gloria a un altro, né la lode che mi spetta agli idoli». (Isaia 42:1-8)
Lo Spirito del Signore Dio è su di me [questa è la risposta del Messia a queste graziose promesse], perché il Signore mi ha unto per recare una buona notizia agli umili; mi ha inviato per fasciare quelli che hanno il cuore spezzato, per proclamare la libertà a quelli che sono schiavi, l’apertura del carcere ai prigionieri, per proclamare l’anno di grazia del Signore, il giorno di vendetta del nostro Dio; per consolare tutti quelli che sono afflitti; per mettere, per dare agli afflitti di Sion un diadema invece di cenere, olio di gioia invece di dolore, il mantello di lode invece di uno spirito abbattuto, affinché siano chiamati querce di giustizia, la piantagione del Signore, per mostrare la sua gloria. (Isaia 61:1-3)
A nessuno sfuggirà come, in queste meravigliose descrizioni delle doti del Messia, tutte le doti teocratiche che erano state date separatamente ad altri convergano in lui: tutti gli organi precedenti dello Spirito non erano dunque che tipi parziali di colui al quale, come ci è detto nel Nuovo Testamento, Dio «non dà lo Spirito con misura» (Giovanni 3:34). Qui notiamo la differenza tra il Messia e gli altri beneficiari dello Spirito, ai quali lo Spirito era stato distribuito secondo il loro ruolo e funzione nello sviluppo del regno di Dio, mentre è stato riversato senza misura sul Messia, e di conseguenza è per mezzo di lui che il regno di Dio è consumato. Le descrizioni delle doti spirituali del Messia sono anche descrizioni, come si sarà indubbiamente notato, del regno di Dio in seguito alla sua consumazione. I suoi doni non erano per lui, ma per il regno: anche essi erano pubblici, e tuttavia erano la fonte in lui anche di ogni grazia personale, la cui ricchezza e perfezione sono descritte nel dettaglio. Così egli diventa il tipo non soltanto dell’opera teocratica dello Spirito, ma anche della sua opera sull’anima individuale, perfezionandola secondo l’immagine di Dio.
LO SPIRITO INDIVIDUALE
2. Questo ci porta naturalmente al secondo aspetto nel quale lo Spirito ci è presentato in relazione alla nuova creazione e cioè alla sua relazione con l’anima individuale, nell’ambito della quale egli opera interiormente negli spiriti degli uomini al fine di preparare i figli di Dio per il regno di Dio proprio come, operando in qualità di Spirito teocratico nella nazione in quanto tale, stava preparando il regno di Dio per il suo popolo. Sotto questo aspetto, egli si manifesta specificamente come lo Spirito della grazia, che come è la fonte di ogni vita cosmica e teocratica, così lo è anche di ogni vita spirituale, dando vita all’anima e governandola come parte del gran mondo che ha creato, rendendola partecipe delle benedizioni teocratiche che comunica al suo popolo, e trasformandola interiormente per conformarla al suo ideale. In breve, lo Spirito di Dio nell’Antico Testamento è non soltanto lo Spirito immanente, la fonte di ogni vita e movimento nel mondo, e non soltanto lo Spirito ispiratore, la fonte della forza e sicurezza della sua chiesa e del suo sviluppo secondo la sua particolare missione, ma anche lo Spirito della santità che inabita i cuori dei figli di Dio. Come dice Hermann Schultz: «I misteriosi impulsi che permettono a un uomo di condurre una vita che piace a Dio non sono considerati uno sviluppo dell’ambiente umano, ma non sono altro che “lo Spirito di Dio”, che è anche detto essere lo Spirito che appartiene particolarmente a Dio, il suo Spirito Santo».[23]
Abbiamo già avuto modo di osservare come questi effetti personali dell’opera dello Spirito siano talvolta congiunti assai strettamente ad altre delle sue operazioni. Già quando lo abbiamo considerato come Spirito immanente della vita non mancava un collegamento della sua attività a considerazioni etiche (Genesi 6:3), e si ricorderà anche che Neemia ricorda la bontà, e cioè probabilmente la grazia, dello Spirito quando venne a istruire Israele nella persona di Mosè nel deserto: «Hai dato loro il tuo buono Spirito per istruirli» (Neemia 9:20).[24] Quando lo Spirito venne su Saul per equipaggiarlo per la sua opera teocratica, vediamo che ebbe anche un effetto personale su di lui non indifferente, come ci dice Samuele: «Lo Spirito del Signore t’investirà, e tu profetizzerai con loro e sarai cambiato in un altro uomo» (1 Samuele 10:6) per poi aggiungere: «Non appena egli ebbe voltato le spalle per separarsi da Samuele, Dio gli cambiò il cuore» o, come recita l’ebraico, «gli voltò il cuore». È possibile che delle rivoluzionare conseguenze etiche di questo genere accompagnassero ordinariamente il dono pubblico dello Spirito, il che confermerebbe la verità dell’interpretazione secondo la quale 2 Pietro 1:21 affermerebbe che erano «santi uomini di Dio» (LND) a parlare perché sospinti dallo Spirito Santo.[25]
In ogni caso questa nozione di un profondo cambiamento etico caratterizza l’idea veterotestamentaria dell’opera interiore dello Spirito “santo”, come viene a essere chiamato per la prima volta nei Salmi e in Isaia (Salmi 51:11; Isaia 63:10-11).[26] Il classico passaggio a tale riguardo è il cinquantunesimo Salmo, il grido di contrizione e preghiera di misericordia di Davide dopo la rivelazione da parte di Natan del suo peccato con Betsabea. Davide chiede a Dio di creare in lui un cuore puro e rinnovare dentro di lui uno spirito ben saldo, e dichiara che ogni sua speranza di una continuazione della potenza di una nuova vita dipende dalla permanenza dello Spirito santo di Dio, o dello Spirito della santità di Dio, con lui. È possibile che lo Spirito sia qui chiamato “santo” principalmente perché non può dimorare in un cuore malvagio, ma le parole di Davide sembrano anche suggerire che egli guardi a lui come all’autore dentro di sé di quella santità senza la quale non può sperare di vedere il Signore, una nozione che incontriamo anche in un altro salmo attribuito a Davide, il centoquarantatreesimo: «Insegnami a fare la tua volontà, poiché tu sei il mio Dio; il tuo Spirito benevolo mi guidi in terra piana» (v. 10). Le due nozioni della grazia e della santità di Dio sono anche congiunte da Isaia in un resoconto di come Israele si era, fin dai tempi di Mosè, comportato con ingratitudine nei confronti di Dio e con la sua ribellione aveva contristato «il suo Spirito santo» che Dio «mise in mezzo a loro» (Isaia 63:10-11).[27] L’idea può principalmente essere che lo Spirito che Dio aveva dato come guida a Israele era uno Spirito di santità nel senso che non poteva tollerare il peccato in coloro con i quali aveva a che fare, ma l’idea che li avrebbe guidati nelle vie della santità è comunque alla sua base.
Questo aspetto dell’opera dello Spirito di Dio è comunque sviluppato in tutta la sua ricchezza nelle profezie riguardanti il futuro del popolo di Dio. Nei giorni del Messia, ci dice Isaia, lo Spirito sarà sparso dall’alto, con il risultato che la rettitudine abiterà nel deserto e la giustizia abiterà nel frutteto (Isaia 32:15-16). È in queste descrizioni dell’età messianica come un tempo in cui lo Spirito regnerà nei cuori delle persone che la ricchezza dei suoi effetti salvifici è sviluppata: egli è colui che radunerà i figli di Dio nel suo regno, così che non ne mancherà nessuno (Isaia 34:16), ed è colui che, in quanto fonte di ogni benedizione, sarà riversato sulla loro discendenza con il risultato che questa germoglierà rigogliosa e farà frutto così abbondante che «l’uno dirà: “Io sono del Signore”, l’altro si chiamerà Giacobbe, e un altro scriverà sulla sua mano: “Del Signore”, e si onorerà di portare il nome d’Israele» (Isaia 44:3-5). È la sua presenza permanente a costituire la principale benedizione del nuovo patto che il Signore stringe con il suo popolo nel giorno della redenzione: «“Quanto a me”, dice il Signore, “questo è il patto che io stabilirò con loro: il mio Spirito che riposa su di te e le mie parole che ho messe nella tua bocca non si allontaneranno mai dalla tua bocca, né dalla bocca della tua discendenza, né dalla bocca della discendenza della tua discendenza”, dice il Signore, “da ora e per sempre”» (Isaia 59:21). Il dono dello Spirito come una presenza permanente nel cuore dell’individuo è la più grande delle benedizioni messianiche. L’insegnamento di Ezechiele insiste esattamente sulla stessa verità. Un nuovo cuore e un nuovo spirito sono uno dei punti focali del suo messaggio (11:19; 18:31; 36:26), e questi sono i doni messianici di Dio al suo popolo attraverso lo Spirito. Coloro che appartengono al popolo di Dio sono morti, ma egli aprirà le loro tombe e li farà uscire da esse: «E metterò in voi il mio Spirito, e voi tornerete in vita» (37:14). Essi sono in cattività, ma egli li ricondurrà nel paese: «“Non nasconderò più loro la mia faccia, perché avrò sparso il mio Spirito sulla casa d’Israele”, dice il Signore, Dio» (39:29). Delle promesse simili compaiono anche in Zaccaria: «Spanderò sulla casa di Davide e sugli abitanti di Gerusalemme lo Spirito di grazia e di supplicazione; essi guarderanno a me, a colui che essi hanno trafitto» (12:10). Si sta parlando dello Spirito convertitore di Dio. Rimane soltanto un’ultima cosa per completare questo quadro, l’inequivocabile affermazione per cui, in questi giorni di benedizioni a venire, lo Spirito fino a quel momento dato soltanto a Israele sarà riversato su tutto il mondo. Questo ci è detto da Gioele in quel meraviglioso passaggio che è applicato da Pietro all’effusione dello Spirito iniziata a Pentecoste: «Dopo questo», dice il Signore Dio attraverso il suo profeta, «avverrà che io spargerò il mio Spirito su ogni persona […] Anche sui servi e sulle serve spargerò in quei giorni il mio Spirito. […] Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato» (Gioele 2:28-32).
In questa serie di passaggi ci è evidentemente presentato lo Spirito inabitante del Nuovo Testamento, il Dio inabitante che è l’autore di ogni santità e salvezza, e sono poste saldamente le fondamenta della dottrina cristiana della rigenerazione e della santificazione, di Dio nell’anima che ne risveglia le facoltà della vita spirituale e la fa crescere in santità. Né ci si può stupire che questo aspetto della sua opera sia enfatizzato con minore frequenza delle sue attività teocratiche, o che sia principalmente nelle profezie del futuro che troviamo i riferimenti più ricchi a esso:[28] questo era infatti il tempo dello sviluppo della teocrazia, la vecchia dispensazione essendo un tempo di preparazione per la pienezza delle grazie spirituali. C’è piuttosto da stupirsi che pure in pochi e sporadici indizi e profezie dei tempi dello Spirito ancora a venire sia dimostrata una comprensione così profonda e completa della sua opera individuale.
Con la sua presentazione di quest’opera dello Spirito nel cuore, l’Antico Testamento completa la sua dottrina dello Spirito di Dio, la grande dottrina del Dio immanente, ispiratore e inabitante nella quale ci sono presentate chiaramente le tre grandi idee di Dio nel mondo, Dio nella chiesa e Dio nell’anima: il Dio della provvidenza che è la fonte immanente di tutto ciò che ha luogo, e dirige e governa il mondo materiale alla pari di quello spirituale; il Dio della chiesa, la fonte ispiratrice di tutta la vita e di tutti i doni della chiesa, attraverso i quali la chiesa è istruita, governata, preservata ed estesa; e il Dio della grazia, la fonte inabitante di ogni santità e ogni desiderio, emozione e attività religiosa. Si è già parlato del grande arricchimento arrecato dal primo aspetto di questa dottrina dello Spirito di Dio alla concezione generale di Dio, ed è naturale che gli altri aspetti in cui egli è presentato nelle pagine dell’Antico Testamento arricchiscano ed elevino ulteriormente tale concezione. Ponendo un’enfasi ancora maggiore sulla personalità dello Spirito, essi non fanno che allargare ancora di più il grande abisso che già si apriva tra ogni nozione panteistica e la dottrina biblica di un Dio personale, la fonte immanente di tutto ciò che ha luogo, e mettono in risalto con grande forza e chiarezza le nozioni della grazia e della santità come inerenti all’idea di Dio all’opera, servendo così ad approfondire la concezione etica della Divinità. È soltanto come a un Dio personale, grazioso e santo, che sceglie il suo popolo e lo porta indefettibilmente sul suo cuore, e opera per conformarne la vita e il carattere alla propria santità, che possiamo pensare al Dio dell’Antico Testamento se prestiamo attenzione alla dottrina dello Spirito contenuta in esso: così l’unità fondamentale di questa concezione con quella dello Spirito Santo del Nuovo Testamento risulta ancora più evidente, tanto più attentamente è esaminata. Lo Spirito di Dio dell’Antico Testamento svolge tutte le funzioni ed esibisce tutte le caratteristiche che sono ascritte allo Spirito Santo del Nuovo Testamento: essi sono pensati identici sia nella loro natura sia nelle loro operazioni, e noi non possiamo che concludere che si tratti di un unico e medesimo Spirito.
Tale identificazione, però, non comporta necessariamente l’affermazione che lo Spirito di Dio era pensato nell’Antico Testamento come lo Spirito Santo lo è nel Nuovo, come un’ipostasi distinta nella natura divina. Se questo sia il caso, o, se lo è in una certa misura, fino a che punto sia vero, è materia per un’indagine a parte; quello che è certo è che lo Spirito di Dio agisce come una persona e ci è presentato come una persona per tutto il corso dell’Antico Testamento. In nessun passaggio è pensato in un modo che non sia personale, come un essere libero, volitivo e intelligente, anche se questa di per sé non è che la pervasiva testimonianza delle Scritture quanto alla personalità di Dio, poiché è ugualmente vero che lo Spirito di Dio è per tutto l’Antico Testamento identificato con Dio, e dunque questa non è che la sua pervasiva testimonianza quanto all’unità divina. La domanda da prendere in considerazione è: fino a che punto questo Dio unico e personale era pensato come comprendente nella sua unità delle distinzioni ipostatiche? Questa domanda è assai complessa e richiede un trattamento assai delicato. Vi sono, di fatto, tre domande incluse nella domanda generale, che per chiarezza dovremmo tenere distinte. Possiamo anzitutto domandare: può il cristiano vedere correttamente nello Spirito di Dio dell’Antico Testamento lo Spirito Santo personale del Nuovo? A questa domanda possiamo rispondere immediatamente in senso affermativo. Possiamo poi domandare: vi sono nell’Antico Testamento degli indizi che anticipano e adombrano la rivelazione dello Spirito ipostatico del Nuovo? Anche a questa domanda si direbbe che dovremmo rispondere affermativamente. Possiamo infine domandare: vi sono degli indizi così chiari da rivelare questa dottrina in modo efficace indipendentemente dalla rivelazione del Nuovo Testamento? A questa domanda dovremmo senza dubbio rispondere negativamente. Vi sono sì degli indizi, che servono da punti di partenza per l’insegnamento più completo del Nuovo Testamento, ma non sono che indizi, e senza l’insegnamento del Nuovo Testamento sarebbe facile spiegarli come personificazioni o oggettivazioni ideali della potenza di Dio. Non c’è dubbio che, unitamente all’enfasi posta sull’unità di Dio e l’identità dello Spirito con il Dio che lo manda, sia riconosciuta una distinzione tra Dio e il suo Spirito, se non altro nel senso di una distinzione tra Dio al di sopra di tutte le cose e Dio in tutte le cose, tra colui che dà e colui che è dato, tra la fonte e l’esecutore della legge morale. Questa distinzione emerge già in Genesi 1:2 e non diventa meno osservabile mano a mano che ci inoltriamo nell’Antico Testamento. Essa è evidente nelle espressioni in cui, da un lato, ci è detto che Dio manda, mette, pone, riversa, svuota il suo Spirito sull’uomo, e dall’altro ci è detto che lo Spirito viene, riposa, cade, si avventa sull’uomo. Assistiamo a una sorta di oggettificazione dello Spirito rispetto a Dio in entrambi i casi: nel primo, mandando lo Spirito da se stesso Dio, per così dire, si separa da se stesso, mentre nel secondo lo Spirito sembra quasi una persona distinta, che agisce di propria volontà. Schultz non esita a dire che lo Spirito di Genesi 1:2 appare «assai indipendente, proprio come un’ipostasi o persona»[29] e Kleinert vede in questo passaggio quanto meno una tendenza all’ipostatizzazione, anche se pensa che tale tendenza non sia stata sviluppata ulteriormente in seguito.[30] Forse siamo giustificati ad affermare che possiamo vedere nell’Antico Testamento, non un’ipostatizzazione dello Spirito di Dio, ma una tendenza a essa; che, per usare il cauto linguaggio di Hofmann, lo Spirito compare nell’Antico Testamento «come per certi verso distinto dall’“io” di Dio che Dio rende il principio della vita nel mondo».[31] Possiamo osservare quanto meno una preparazione alla piena rivelazione della Trinità nel Nuovo Testamento[32] e scoprire diversi punti di contatto con essa, così che i cristiani sono in grado di leggere l’Antico Testamento senza inciampare e ritrovare senza confusione il loro Spirito Santo nel suo Spirito di Dio.[33]
Difficilmente potremmo andare in cerca di qualcosa di più. Gli elementi della dottrina di Dio che più di tutti gli altri era necessario enfatizzare al tempo dell’Antico Testamento erano naturalmente l’unità e la personalità di Dio. La grande verità da insegnare all’antico popolo di Dio era che il Dio di tutta la terra è una sola persona. In contrapposizione alle varie idolatrie che lo circondavano, questa era la verità delle verità che Israele doveva principalmente difendere; e soltanto una volta che questa grande verità fosse stata indelebilmente impressa nelle loro anime sarebbe stato possibile rivelare loro le distinzioni personali del Dio uno e trino senza pericolo. Una rivelazione prematura dello Spirito come un’ipostasi distinta non avrebbe fatto che nuocere al popolo di Dio. Indubbiamente concorderemo tutti con Kleinert[34] che fu presuntuoso per Isidoro di Pelusio dire che Mosè conosceva a sufficienza la dottrina della Trinità ma tacque per timore che il politeismo ne avrebbe tratto profitto, tuttavia possiamo affermare senza pericolo riguardo a Dio il rivelatore, nella trasmissione graduale della verità su di sé agli uomini, che egli rivela tutta la verità, ma in varie porzioni e in varie maniere, ed era inerente alla trasmissione progressiva della dottrina di Dio che l’unità della Deità dovesse essere prima resa il saldo possesso degli uomini, e la Trinità all’interno di quell’unità svelata loro soltanto in seguito, quando i tempi fossero stati maturi per essa. Ciò di cui dobbiamo stupirci non è che la peculiarità ipostatica dello Spirito non sia rivelata più chiaramente nell’Antico Testamento, ma che le sue fondamenta siano poste così abilmente che la dottrina dello Spirito Santo ipostatico del Nuovo Testamento trova così tanti e impressionanti punti di contatto con l’Antico Testamento, e tuttavia nessun israelita era mai stato turbato a ripetere con sincera fede il suo grande shemà: «Ascolta, Israele: il Signore, il nostro Dio, è l’unico Signore» (Deuteronomio 6:4). Finché l’intera dottrina della Trinità non fosse stata pronta a essere manifestata in forma visibile come al battesimo di Cristo, con Dio in cielo, Dio sulla terra e Dio che discendeva dal cielo sulla terra, nessuna parte del mistero sarebbe potuta essere rivelata senza pericolo.
Resta ancora una domanda importante che non possiamo ignorare del tutto. Avendo visto il ricco sviluppo della dottrina dello Spirito nell’Antico Testamento e la testimonianza di quest’ultimo a proposito dell’attività dello Spirito di Dio nel corso della vecchia dispensazione, che cosa si intende allora quando la nuova dispensazione è detta la dispensazione dello Spirito? Che cosa intende Giovanni (7:39) quando dice che lo Spirito non era ancora stato dato perché Gesù non era ancora glorificato? Che cosa intende il nostro Signore quando promette il Consolatore dicendo che il Consolatore non sarebbe venuto finché egli non se ne fosse andato e lo avesse mandato (Giovanni 16:7) e quando soffia sui suoi discepoli dicendo: «Ricevete lo Spirito Santo» (Giovanni 20:22)? Qual è il significato della discesa dello Spirito a Pentecoste quando venne a inaugurare la dispensazione dello Spirito? Tutto questo non può significare che lo Spirito non fosse attivo nella vecchia dispensazione: abbiamo già visto che gli autori stessi del Nuovo Testamento lo considerano attivo nella vecchia dispensazione con tutte le varie attività con le quali è attivo nella nuova. Questi passaggi sembrano fare riferimento a cose differenti: alcuni di essi potrebbero fare riferimento agli specifici doni miracolosi che caratterizzavano gli apostoli e le chiese che fondarono,[35] altri alla missione globale dello Spirito, promessa di fatto nell’Antico Testamento ma soltanto ora sul punto di realizzarsi, ma vi è un’idea ancora più fondamentale con la quale fare i conti, e cioè l’idea della natura preparatoria della dispensazione veterotestamentaria. La vecchia dispensazione era preparatoria e deve essere rigorosamente pensata come tale. Quelle benedizioni spirituali che la caratterizzavano non erano che un assaggio,[36] ed erano molte e varie: lo Spirito operava nella provvidenza non meno universalmente allora di oggi, inabitava la chiesa non meno realmente allora di oggi e operava nei cuori del popolo di Dio non meno diffusamente allora di oggi. Tutto ciò di buono che vi era nel mondo era allora come oggi dovuto a lui; tutta la speranza della chiesa di Dio allora come oggi dipendeva da lui; ogni grazia della vita cristiana era allora come oggi frutto della sua operazione; ma l’obiettivo dell’intera dispensazione non era che la preparazione all’effusione dello Spirito su ogni persona. Egli proteggeva e purificava il residuo, ma lo faceva primariamente al solo fine di preservarne la discendenza: questo, allora, era il fine fondamentale della sua attività. La dispensazione dello Spirito propriamente detta non albeggiò finché il periodo di preparazione non si concluse e il giorno dell’effusione non fu giunto. Il granello di senape era stato preservato in ogni età soltanto grazie alla cura premurosa dello Spirito, ma ora è stato piantato ed è in virtù della sua operazione che sta crescendo e diventando un grande albero che dà ombra a tutta la terra e tra i rami del quale tutti gli uccelli del cielo vengono a ripararsi. Non è che la sua opera sia più reale nella nuova dispensazione di quanto non lo fosse nella vecchia, o semplicemente che è più universale: è che è volta a un fine differente, che non è più la semplice preservazione della discendenza per il giorno della semina, ma il perfezionamento del fruttato e la mietitura del raccolto. La chiesa, per usare un’immagine che troviamo in Isaia, era allora come un ruscello arginato e ora è come quel ruscello arginato senza più argini e diretto dallo Spirito del Signore. Era stato lo Spirito a tenerlo in vita quando era arginato, ed è lo Spirito a dirigerne ora i flutti finché non avrà ricoperto la terra come le acque ricoprono il male. In breve, al tempo dell’Antico Testamento lo Spirito tratteneva la sua potenza, ma adesso il grande giorno dello Spirito è giunto.
[1] Tratto da The Person and Work of the Holy Spirit, originariamente pubblicato in The Presbyterian and Reformed Review, vol. 6, 1895, pp. 665—687.
[2] Korinthierbriefe 1, p. 80.
[3] Zur altest. Lehre vom Geiste Gottes in Jahrbb. für deutsch. Theologie, 1867, 1, p. 9.
[4] E cioè in Genesi, Esodo, Numeri, Giudici, 1 e 2 Samuele, 1 e 2 Re, 2 Cronache, Neemia, Giobbe, Salmi, Isaia, Ezechiele, Gioele, Michea, Aggeo, Zaccaria. Si potrebbero aggiungere Deuteronomio e 1 Cronache, anche se non contengono l’esatta espressione “lo Spirito di Dio” o “lo Spirito del Signore”.
[5] E cioè Levitico, Giosuè, Rut, Esdra, Ester, Ecclesiaste, Cantico dei Cantici, Geremia, Lamentazioni, Osea, Amos, Abdia, Giona, Naum, Abacuc e Sofonia. Proverbi, Daniele e Malachia possono, per una ragione o l’altra, rimanere non classificati.
[6] «Vi è un autore veterotestamentario nel quale tutte le traiettorie e i raggi di questo sviluppo convergono…e cioè Ezechiele» (Kleinert, op. cit., p. 45). «Isaia ha disseminato in tutte le sue profezie allusioni allo Spirito così varie e numerose in descrizioni esplicite e brevi espressioni che non sarebbe difficile ricavare dalle sue parole la completa dottrina dello Spirito» (Smeaton, Doctrine of the Holy Spirit, p. 35).
[7] Fairbairn, Christ in Modern Theology, p. 377.
[8] James Denney, Studies in Theology, p. 70.
[9] Si confronti anche con la promessa di Ezechiele 36:27 e 1 Tessalonicesi 4:8 (si veda Toy, Quotations in the New Testament, p. 202). Si confronti anche con Luca 1:17.
[10] Queste parole sono di C. F. Schmid (Biblical Theology of the New Testament, Div. ii. § 24, p. 145, E. T.). Cfr. Smeaton, op. cit., p. 36: «Gli eventi che si verificano nel governo morale di Dio sono, nell’Antico Testamento, ascritti anche allo Spirito come all’esecutore di tutti i propositi di Dio».
[11] Kleinert, op. cit., p. 30: «L’Antico Testamento conosce soltanto un’influenza dello Spirito di Dio sullo spirito umano nell’interesse e nella sfera del regno di Dio, che è in Israele e verrà attraverso Israele». Hävernick, Theologie des alten Testaments, p. 77: «Di una comunicazione dello Spirito nel senso più ristretto, dopo l’ingresso del peccato nel mondo, si può parlare soltanto nella teocrazia». Oehler, Biblical Theology of the Old Testament, § 65: «Ma lo Spirito come hwhy twd, o con maggiore precisione hwhy Sdq twd, agisce soltanto nella sfera della rivelazione e governa nell’ambito della teocrazia».
[12] Ad esempio, nel Pentateuco la sua operazione è forse esclusivamente cosmica e teocratica o pubblica (Oehler, op. cit. § 65) mentre la sua opera etica negli individui è per tutto il corso dell’Antico Testamento più materia di profezia che di godimento presente (Dale, Christian Doctrine, p. 317).
[13] Dale, Christian Doctrine, p. 318. Un passaggio impressionante sia per la sua presentazione di questo fatto sia per il suo rifiuto di accettarne le implicazioni.
[14] Cfr. Schultz, Old Testament Theology, E. T. ii, 184: «Sulla massa senza vita e senza forma della materia del mondo questo Spirito aleggia come un uccello sul suo nido e trasmette a esso i semi della vita, così che in seguito mediante la parola di Dio può produrre qualsiasi cosa Dio voglia».
[15] Si confrontino alcune parole assai istruttive relativamente a questo resoconto della creazione del reverendo John Robson di Aberdeen (The Expository Times, luglio 1894, vol. 5, no. 10, pp. 467 e seguenti): «Gli agenti divini nella creazione ci sono presentati all’inizio del libro di Genesi e all’inizio del vangelo di Giovanni. L’obiettivo di Giovanni nel suo vangelo è di parlare di Gesù Cristo, la parola di Dio; e così egli fa riferimento solo alla sua agenzia nell’opera della creazione. L’obiettivo di Mosè in Genesi è di descrivere l’intera agenzia divina in quell’opera; così nella sua narrativa troviamo l’opera dello Spirito, ma questo non significa che ignori la parola di Dio, dal momento che inizia il suo resoconto di ciascuna fase o giorno della creazione con le parole “poi Dio disse”. Non troviamo in Genesi la ricchezza teologica che troviamo in autori successivi, ma troviamo in essa gli elementi di tutto ciò che successivamente impariamo o deduciamo a proposito dell’agenzia divina nella creazione. […] Due agenti sono menzionati: “lo Spirito di Dio [che] aleggiava sulla superficie delle acque” e all’inizio di ogni nuova fase dello sviluppo della creazione la Parola di Dio, espressa con le parole “Dio disse”. […] Vi è così lo Spirito di Dio presente come un’energia costante, e vi è la parola di Dio a dare forma a quell’energia, e in ogni nuova fase a dare esistenza a nuove forme».
[16] Oehler, Old Testament Theology, § 65: « Ma lo Spirito come hwhy twd, o con maggiore precisione hwhy Sdq twd, agisce soltanto nella sfera della rivelazione e governa nell’ambito della teocrazia (Isaia 63:11; Aggeo 2:5; Neemia 9:20) ma non come se tutti i cittadini della teocrazia veterotestamentaria fossero partecipi di questo Spirito in quanto tali, cosa che Mosè esprime come desiderio (Numeri 11:29) ma che è riservata per la comunità della salvezza futura (Giovanni 3:1). Nell’Antico Testamento l’opera dello Spirito nel regno di Dio è piuttosto quella di dotare gli organi della teocrazia dei doni necessari per la loro vocazione, e quei doni pubblici nell’Antico Testamento sono simili ai doni della grazia nel Nuovo Testamento (1 Corinzi 12)».
[17] L’idea della comunicazione ad altri dello Spirito che già si era posato su una persona ricorre nuovamente in 2 Re 2:9, 15 nel caso della comunicazione dello spirito profetico di Elia a Eliseo, cfr. Oehler, Biblical Theology of the Old Testament, § 65.
[18] Si confronti con la preghiera e il dono di Salomone in 1 Re 3.
[19] Si confrontino i casi della comunicazione dello Spirito in modo diverso in Numeri 11:17, 25-26 e 2 Re 2:9, 15.
[20] In passaggi come Genesi 41:38, Daniele 4:8; 9:18 e 5:11, 14, troviamo “lo spirito degli dèi” come equivalente dello “Spirito di Dio” nel linguaggio dei pagani.
[21] Cfr. Orelli, The Old Testament Prophecy, E. T. p. 11, e Oehler, Biblical Theology of Old Testament, § 65 e fino alla fine.
[22] Cfr. A. B. Davidson (The Expositor, luglio 1895, p. 1): «L’idea prevalente tra il popolo, che sembra essere l’idea degli autori stessi dell’Antico Testamento, sembra essere stata la seguente: il profeta non parlava per un’ispirazione generale del Signore, conferitagli una volta per tutte, ad esempio al momento della sua chiamata, ma ogni singola parola da lui pronunciata, che si trattasse di una predizione o un consiglio pratico, era dovuta a una speciale ispirazione esercitata su di lui per quell’occasione». Questa affermazione avrebbe facilmente potuto essere più forte.
[23] Op. cit. 2, p. 203. Il passaggio è citato per la sua idea principale: obiettiamo, naturalmente, ad alcune delle sue implicazioni.
[24] In Numeri 14:24 ci è detto che Caleb seguì il Signore pienamente perché «animato da un altro spirito» rispetto a quello che aveva animato i suoi compagni ribelli. È possibile che con questo si intenda lo Spirito del Signore.
[25] Vi sono, naturalmente, delle eccezioni, come i casi di Balaam, Sansone, e via dicendo, cfr. H. G. Mitchell, Inspiration in the Old Testament in Christian Thought, dicembre 1893, p. 190.
[26] Cfr. F. H. Woods, in The Expository Times, luglio 1895, pp. 462-463: «Può essere estremamente difficile stabilire quale fosse il significato esatto che i profeti o i salmisti attribuivano alle espressioni “lo Spirito di Dio” e “lo Spirito di santità”. Ma questo linguaggio, in ogni caso, dimostra che essi erano consapevoli del carattere divino di quella potenza interiore che conduce alla santità e alla verità. “Non respingermi dalla tua presenza e non togliermi il tuo santo Spirito” (Salmi 51:11). “Ora, il Signore, Dio, mi manda con il suo Spirito” (Isaia 48:16). “‘Non per potenza, né per forza, ma per lo Spirito mio’, dice il Signore degli eserciti” (Zaccaria 4:6). In passaggi di questo tipo possiamo vedere il germe del più pieno pensiero cristiano».
[27] Cfr. Salmi 106:13.
[28] Si vedano tali meraviglie espresse dal dott. Dale in un impressionante passaggio nel suo Christian Doctrine, p. 317.
[29] Op. cit. 2, p. 184.
[30] Op. cit. pp. 55-56.
[31] Schriftbeweis, 1, p. 187.
[32] Cfr. Oehler, op. cit. § 65, nota 5. A suo dire Isaia 43:16 ne implica la personalità e ci ricorda che l’Antico Testamento ha preparato la via per la Trinità economica del Nuovo. Si veda anche Dale, Christian Doctrine, p. 317.
[33] Cfr. l’ammirevole riassunto del dott. Hodge: «Anche nel primo capitolo di Genesi lo Spirito di Dio è rappresentato come la fonte di ogni intelligenza, ordine e vita nell’universo creato, e nei libri successivi dell’Antico Testamento lo vediamo ispirare i profeti e conferire sapienza, forza e bontà a guide politiche e militari e al popolo di Dio. Questo Spirito non è un’agenzia ma un agente che insegna e sceglie, contro il quale è possibile peccare e contristarlo, e che nel Nuovo Testamento è inequivocabilmente rivelato come una persona distinta. Quando Giovanni battista fece la sua comparsa, lo sentiamo parlare dello Spirito Santo come di una persona nota ai suoi compatrioti, come un oggetto di adorazione divina e il datore di benedizioni salvifiche. Anche il nostro divino Signore dà questa verità per scontata e promette di mandare il suo Spirito come un Consolatore per prendere il suo posto e istruirli, confortarli e fortificarli, ed essi dovevano riceverlo e obbedirgli. Così, senza alcuna brusca transizione, le prime rivelazioni di questo mistero furono gradualmente svelate finché il Dio trino, Padre, Figlio e Spirito, non compare nel Nuovo Testamento come il Dio universalmente riconosciuto da tutti i credenti» (Charles Hodge, Systematic Theology, 1, p. 447).
[34] Op. cit. p. 56.
[35] Cfr. Redford, Vox. Dei, p. 236.
[36] Smeaton (op. cit., p. 49) commenta così Giovanni 7:37-39:«Ma l’apostolo aggiunge che “lo Spirito non era ancora stato dato” perché la glorificazione di Cristo non era ancora avvenuta. Egli non intende dire che lo Spirito ancora non esisteva, poiché tutta la Scrittura ne attesta l’eterna preesistenza, né che la sua efficacia rigeneratrice era ancora ignota, poiché innumerevoli milioni ci persone erano state rigenerate dalla sua potenza dal tempo della prima promessa in Eden, ma che queste operazioni dello Spirito non erano state che un anticipo del dono espiatorio di Cristo piuttosto che il dono stesso. L’apostolo parla in termini relativi, non assoluti». Si confrontino le eloquenti parole di pagina 53 con la citazione ivi riportata di Goodwin.