
Di Michael Reeves.
«Il fine principale dell’uomo è glorificare Dio e godere di lui in eterno» recita il Catechismo minore di Westminster – ma quale dottrina descrive il modo in cui Dio stabilisce una relazione con noi così che possiamo godere di lui? La giustificazione per sola grazia attraverso la sola fede in Cristo soltanto.
Questo meraviglioso cuore del Vangelo biblico dimostra la totale sufficienza di Cristo, l’unico Salvatore. Attraverso di esso, Dio è glorificato come assolutamente misericordioso e buono, come sommamente santo e allo stesso tempo compassionevole – e così gli uomini possono trovare il loro conforto e diletto in lui. Attraverso questa dottrina, anche i credenti in difficoltà possono sperimentare una posizione sicura dinanzi a Dio, conoscendolo con gioia come il loro “Abba, Padre”, fiduciosi che egli è in grado di salvarci e custodirci appieno.
CONFORTO E GIOIA
Per comprenderlo, si consideri la differenza nel modo in cui la teologia riformata e quella cattolico-romana pensano alla nostra certezza della salvezza. Un credente può sapere di essere salvato?
Dal punto di vista della Riforma, il puritano Richard Sibbes sosteneva che senza tale certezza è semplicemente impossibile vivere la vita cristiana che Dio vuole che viviamo. Dio, disse, vuole che siamo riconoscenti, allegri, gioiosi e forti nella fede, ma non saremo nessuna di queste cose se non siamo sicuri che Dio e Cristo sono nostri per sempre:
Vi sono molti doveri e disposizioni che Dio richiede ai quali non possiamo dedicarci senza la certezza della salvezza su basi solide. Perché? Dio ci ordina di essere riconoscenti in ogni cosa. Come posso esserlo, se non so che Dio è mio e Cristo è mio?…Dio ci comanda di gioire. «Rallegratevi del continuo nel Signore lo ripeto ancora: Rallegratevi» (Filippesi 4:4). Può un uomo rallegrarsi che il suo nome è scritto in cielo, e non sapere che il suo nome è scritto là?…Ahimè! Come posso servire Dio con allegrezza, quando dubito se sia il mio Dio e Padre o meno?…Dio richiede una disposizione da parte nostra, che siamo pieni di incoraggiamenti e forti nel Signore; e che siamo coraggiosi per la sua causa nel resistere ai suoi nemici e nostri nemici. Come può esservi coraggio nel resistere alle nostre corruzioni e alle tentazioni di Satana, nel soffrire persecuzione e croci nel mondo, se non vi è un qualche particolare interesse che abbiamo in Cristo e in Dio?
Eppure quella fiducia che Sibbes proclamava come un privilegio cristiano è stata condannata dalla teologia cattolico-romana come il peccato di presunzione. Questa era esattamente una delle accuse mosse contro Giovanna D’Arco al suo processo nel 1431, in cui i giudici dichiararono:
Questa donna pecca quando dice di essere certa che sarà ricevuta in paradiso come se fosse già partecipe della…gloria, dal momento che in questo viaggio terreno nessun pellegrino sa se è degno della gloria o del castigo, cosa che soltanto il giudice sovrano può sapere.
Questo giudizio aveva perfettamente senso nella logica del sistema cattolico-romano: se possiamo entrare in cielo solamente perché, per la grazia abilitante di Dio, ne siamo diventati personalmente degni, è ovvio che nessuno può esserne sicuro. Secondo questa linea di pensiero, posso solo avere tanta fiducia nel fatto di andare in cielo quanta ne ho nel fatto di essere senza peccato.
Ma mentre questo modo di pensare aveva senso nel cattolicesimo romano, esso produceva paura invece che gioia. La necessità di avere del merito personale dinanzi a Dio per essere salvati lasciava le persone in preda al terrore all’idea del giudizio. Questo era esattamente il motivo per cui il giovane Lutero tremava di paura al pensiero della morte e diceva di odiare Dio (invece di godere di lui): egli non poteva essere riconoscente, allegro, gioioso e forte nella fede dal momento che credeva in Dio unicamente come un giudice a lui ostile.
Tutto questo cambiò con la sua scoperta che i peccatori sono gratuitamente dichiarati giusti in Cristo. La sua fiducia per il giudizio non era più riposta in se stesso, ma poggiava interamente su Cristo e sulla sufficienza della sua giustizia: e così l’orribile giorno del giudizio divenne per lui quello che avrebbe definito “il felicissimo ultimo giorno”, il giorno del suo amico Gesù. La consolazione che questo offre a tutti coloro che aderiscono alla teologia della Riforma è stata catturata perfettamente dalle straordinarie parole del Catechismo di Heidelberg:
Domanda: Quale conforto derivi dal fatto che Cristo verrà per giudicare i vivi e i morti?
Risposta: In ogni mia tristezza e persecuzione, alzo il capo e attendo ferventemente come giudice dal cielo la stessa persona che un tempo si è sottoposta al giudizio di Dio per me e ha rimosso tutta la maledizione da me. (52)
UMILTÀ E VALORE
La giustificazione per sola fede non si limita a infondere quella gioia che l’apostolo Paolo comanda, ma allo stesso tempo rende umili e coraggiosi coloro che ne fanno tesoro.
Attraverso la giustificazione per sola fede, i credenti sono resi consapevoli di chi è Dio e chi sono loro. Diversamente da quello che pensavano in precedenza, si rendono conto che egli è grande, glorioso, misericordioso e meraviglioso nella sua santità – e loro non lo sono. Nel momento in cui la giustificazione esalta Cristo, il più che sufficiente Salvatore, essi sono come Isaia, la cui visione del Signore in gloria, alto ed esaltato, lo fece gridare: «Ahimè! Io sono perduto, perché sono un uomo dalle labbra impure e abito in mezzo a un popolo dalle labbra impure; eppure i miei occhi hanno visto il Re, l’Eterno degli eserciti» (6:5). Gli altri “vangeli” in cui il peccato è un problema di poco conto e dunque Cristo è un salvatore (o assistente) di poco conto non hanno mai lo stesso effetto.
L’umiltà che impariamo attraverso la giustificazione, vantandoci di Dio e non di noi stessi, si rivela essere la fonte di ogni benessere spirituale. Quando i nostri occhi sono aperti all’amore di Dio per noi peccatori, ci lasciamo cadere la maschera di dosso. Condannati come peccatori e tuttavia giustificati, possiamo iniziare a essere onesti con noi stessi; amati nonostante la nostra odiosità, iniziamo ad amare; riappacificati con Dio, iniziamo a conoscere una pace e una gioia interiore; vista la magnificenza di Dio al di sopra di ogni cosa, diventiamo più resilienti, tremando di meraviglia dinanzi a Dio e non all’uomo.

Questa era la trasformazione che Lutero sperimentò attraverso la sua scoperta della giustificazione per sola fede. Spesso Lutero si era descritto come un giovane ansioso così preso da se stesso che tutto lo spaventava: addirittura il fruscio di una foglia mossa dal vento lo avrebbe fatto scappare a gambe levate (Levitico 26:36). Ma questo cambiò attraverso il suo incontro con il Vangelo di Cristo, come ricorda Roland Bainton nelle splendide parole finali della sua biografia:
Il Dio di Lutero, come anche di Mosè, era il Dio che abita nella densa nuvola e vola sulle ali del vento; a un suo cenno la terra trema e i popoli al suo cospetto sono come una goccia in un secchio. Egli è un Dio di maestà e potenza, inscrutabile, terrificante, devastante e consumante nella sua ira – eppure il terribilissimo è anche il misericordiosissimo. «Come un padre è pietoso verso i suoi figli, così è pietoso l’Eterno…». Ma come faremo a saperlo? In Cristo e in lui soltanto – nel Signore della vita, nato nello squallore di una stalla e morto come un malfattore, abbandonato e deriso dagli uomini, gridando a Dio e ricevendo come risposta soltanto il tremore della terra e l’adombramento del sole, abbandonato anche da Dio, mentre in quell’ora si faceva carico della nostra iniquità e la annientava, calpestando le armate degli inferi e svelando nell’ira del terribilissimo l’amore che non allenterà la sua presa su di noi.
Questo, conclude Bainton, fu l’effetto di tale incontro:
Lutero non tremava più al fruscio di una foglia mossa dal vento, e invece di invocare sant’Anna si diceva capace di ridere del tuono e dei lampi che balenavano nella tempesta. Questo era ciò che gli permise di pronunciare parole come queste: «Questa è la mia posizione. Non posso fare altrimenti. Dio mi aiuti. Amen».
L’umiltà che Lutero aveva trovato dinanzi alla maestà e alla misericordia di Dio non era cupa o timorosa, malinconica o fiacca, ma tonante, gioiosa e piena di ardimento.
Questo è il carattere dell’umiltà che troviamo nella giustificazione per sola fede. Avvinti dalla magnificenza di Dio, questo tipo di credenti non saranno attirati da una religione terapeutica incentrata sull’uomo; assorbiti dalla radianza della sua gloria, non vorranno stabilire i loro piccoli imperi personali, i loro risibili successi appariranno insignificanti, le loro faide e agende personali odiose. Dio riempirà tutto il loro orizzonte, rendendoli bramosi di piacere a lui e non agli uomini. Tali credenti non avranno esitazioni e non balbetteranno quando si tratterà di parlare del Vangelo; ma, consapevoli della propria redenzione, dimostreranno la mansuetudine e la delicatezza di Cristo non spezzando la canna rotta, e saranno pronti a servire, pronti a benedire, pronti a ravvedersi e pronti a ridere di se stessi, perché il loro vanto non è in se stessi ma in Cristo. Questa è la felice integrità che si trova attraverso l’esaltazione di Cristo nella buona notizia della giustificazione per sola fede.
Fonte:
Justification and Assurance, Copyright 2021, da Michael Reeves. Ligonier Ministries.
Con permesso tradotto da A.P.