
Di Cornelis P. Venema.
Nei dibattiti a proposito della dottrina della giustificazione, una delle questioni più contenziose riguarda la relazione tra la giustificazione e un giudizio finale secondo le opere. Se la giustificazione è un verdetto definitivo in cui Dio dichiara che «non vi è alcuna condanna per coloro che sono in Cristo Gesù» (Romani 8:1), cosa dobbiamo pensare dell’insegnamento della Scrittura che i credenti sono soggetti a un giudizio finale nell’ultimo giorno? Il Catechismo maggiore di Westminster insegna che i giusti saranno «apertamente riconosciuti e assolti» nel giorno del giudizio (90). Questa assoluzione finale dei credenti richiede forse una distinzione tra due fasi della giustificazione, tra una giustificazione iniziale che è basata sulla sola giustizia di Cristo e una giustificazione futura che è basata almeno in parte sulle opere buone? E se una tale distinzione tra due fasi nella giustificazione dei credenti è necessaria, come possiamo evitare la conclusione che l’attuale giustificazione dei credenti dipenda da un evento futuro in cui il verdetto giustificante di Dio dipende dalle opere?
Fin dalla Riforma del sedicesimo secolo, la chiesa cattolica romana ha insegnato che il “processo della giustificazione” include diverse fasi. La giustificazione ha inizio con il battesimo (la “prima” giustificazione) ed è successivamente aumentata attraverso la cooperazione del credente con la grazia di Dio impartita attraverso i sacramenti (la “seconda” giustificazione); tuttavia, la giustificazione è completata soltanto nel giudizio finale dopo un periodo di purificazione in purgatorio (la giustificazione “finale”). Secondo la visione cattolico-romana, i credenti sono sempre esposti al rischio di perdere la giustificazione attraverso la commissione del peccato mortale. Per coloro che “fanno naufragio” della propria giustificazione attraverso il peccato mortale, l’unico rimedio per essere ristabiliti in uno stato di grazia risiede nel sacramento della penitenza. Soltanto in via eccezionale i “santi”, che sono resi perfetti nella santità in questa vita, “meritano” quando muoiono la beatitudine di essere alla presenza di Dio senza bisogno di un’ulteriore purificazione in purgatorio. A sostegno di questo insegnamento, si fa spesso appello all’insegnamento della Bibbia riguardo un giudizio futuro secondo le opere.
Sorprendentemente, in recenti discussioni sulla giustificazione e un giudizio finale secondo le opere diversi teologi protestanti hanno proposto simili distinzioni tra diverse fasi della giustificazione – passata, presente e futura. Per i proponenti di una “nuova prospettiva su Paolo”, i credenti “accedono” alla comunità del patto per grazia ma “rimangono” in essa e sono alla fine giustificati tramite le loro opere. N.T. Wright, ad esempio, fa appello all’insegnamento dell’apostolo Paolo in Romani 2:14-16 per affermare che la nostra “giustificazione futura” sarà sulla base di una vita di fedeltà. Altri compromettono l’insegnamento biblico della giustificazione per sola fede quando insistono che le opere che la fede produce sono in un qualche senso fondamentali per la giustificazione di un cristiano. Piuttosto che vedere la fede come un atto strettamente ricettivo, che riposa nella sola giustizia di Cristo per la giustificazione, insistono che l’“obbedienza della fede” (la “fedeltà”) è il modo in cui riceviamo la nostra giustificazione; conseguentemente, la giustificazione pronunciata nel giudizio finale sarà garantita soltanto a coloro che hanno mantenuto la loro giustificazione perseverando nell’obbedienza.
LA GIUSTIFICAZIONE: UN VERDETTO DEFINITIVO ED ESCATOLOGICO
Prima di considerare alcuni passaggi neotestamentari che parlano di un giudizio finale secondo le opere, dobbiamo fermarci e chiederci: qual è la posta in gioco nell’affermare che il giudizio finale comprende una giustificazione futura che è basata sulle opere – indipendentemente dal fatto che siano meritorie o meno – della persona giustificata?
La risposta breve a questa domanda è: tutto. Se la giustificazione dei credenti è in ultima analisi basata su una giustificazione futura per opere, allora i credenti non possono essere mai certi di essere definitivamente e irrevocabilmente in pace con Dio. Se la giustizia di Cristo non è l’unico fondamento della nostra accettazione da parte di Dio, ora e in eterno, allora i credenti non possono avere nessuna fiducia riguardo la loro eredità della vita eterna in Cristo. La prospettiva di una giustificazione (o condanna) futura sulla base delle opere compromette radicalmente qualsiasi certezza del continuo favore di Dio nei nostri confronti. Considerare il giudizio finale una fase finale nella giustificazione del credente equivale a dire che i credenti saranno in ultima analisi giustificati per grazia più opere. L’ovvio problema con queste visioni del giudizio finale e della giustificazione è che compromettono il carattere definitivo ed escatologico (relativo alle cose ultime) della giustificazione.
Invece di considerare il giudizio finale il capitolo conclusivo della nostra giustificazione, il Catechismo maggiore di Westminster lo descrive correttamente come un aperto riconoscimento e assoluzione. Questo linguaggio non parla di un verdetto giustificante che alla fine determina chi è giusto dinanzi a Dio, né suggerisce che l’attuale certezza del favore di Dio in Cristo da parte del credente sia meramente provvisoria, non ancora garantita o certa. No, il giudizio finale manifesta apertamente ciò che i credenti già sanno per fede: il giudice, Gesù Cristo, che li assolve nel giudizio finale è già stato giudicato al posto loro ed è la loro giustizia dinanzi a Dio. Esattamente come la resurrezione di Cristo confermò la sufficienza e la perfezione del suo sacrificio espiatorio per il peccato, così l’aperta assoluzione dei credenti nel giudizio finale confermerà pubblicamente la loro giustificazione gratuita per fede in Cristo e lui soltanto (Romani 4:25).
Ma questa non è l’unica cosa che il giudizio finale svelerà. Il giudizio finale include anche un aperto riconoscimento di coloro la cui fede in Cristo non era una fede morta o senza opere, non accompagnata da quelle opere buone che la vera fede produce (si veda Giacomo 2:14-16). Nel giorno del giudizio, l’aperto riconoscimento dei credenti include la loro ricompensa secondo o in proporzione alle loro opere buone (si veda Matteo 25:21, 23; 1 Corinzi 3:10-15; 2 Timoteo 4:8). Anche se questa ricompensa sarà elargita per grazia e non per merito, essa sarà una ricompensa che mostra il riconoscimento da parte di Dio di quello che i credenti hanno fatto in grato servizio a lui (Ebrei 6:10). Nel riconoscere le opere dei credenti, Dio aggiungerà grazia a grazia, accettando, riconoscendo e ricompensando i credenti per quelle opere buone che egli stesso aveva precedentemente preparato perché le compissero (Efesini 2:10).
DUE PASSAGGI ILLUSTRATIVI DI UN GIUDIZIO FINALE “SECONDO LE OPERE”
Vi sono molti passaggi nel Nuovo Testamento che parlano di un giudizio finale dei credenti che sarà secondo le opere (ad es. Matteo 12:36; 16:27; 2 Corinzi 5:10; 2 Timoteo 4:1; Apocalisse 20:11-15). Anche se questi passaggi affermano che Dio ricompenserà i credenti per le loro opere, non suggeriscono mai che le opere dei credenti siano il fondamento della loro giustificazione dinanzi a Dio (si veda Romani 3:20; Galati 2:16). Anche se Dio ricompenserà le opere imperfette dei credenti, questa ricompensa dipende dalla verità più fondamentale che i credenti sono già accettabili dinanzi a lui sulla base della perfetta giustizia di Cristo. In altre parole, la ricompensa che è elargita non è «il dono della vita eterna» (Romani 6:23) ma un grazioso riconoscimento di come le vite dei credenti erano al passo con l’operazione dello Spirito di Cristo in loro. Queste opere confermano l’insegnamento della Scrittura che, anche se è la sola fede a giustificare, la fede non è mai da sola in coloro che Dio giustifica e anche santifica.
Tra i passaggi che parlano di un giudizio finale secondo le opere, ve ne sono due particolarmente istruttivi:
(1) la parabola delle pecore e dei capri in Matteo 25:31-46 e
(2) l’insegnamento dell’apostolo Paolo riguardo il giusto giudizio di Dio in Romani 2:1-16.
Matteo 25:31-46: le pecore e i capri. Nel primo di questi passaggi, Matteo 25:31-46, Gesù fornisce un’immagine impressionante del giudizio finale che avrà luogo quando il Figlio dell’uomo tornerà nella sua gloria e tutte le nazioni e i popoli sono raccolti al suo cospetto.
Impiegando una parabola, Gesù paragona il giudizio finale a un pastore o un re che raduna il suo gregge e separa le pecore dai capri, collocando le pecore alla sua destra e i capri a sinistra. Quindi il re dice alle pecore alla sua destra:
Venite, benedetti del Padre mio; ricevete in eredità il regno che vi è stato preparato sin dalla fondazione del mondo. Poiché ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere; fui forestiero e mi accoglieste, fui ignudo e mi rivestiste, fui infermo e mi visitaste, fui in prigione e veniste a trovarmi. (Matteo 25:34-36).
Nella sua descrizione della risposta delle pecore alle parole del re, Gesù rappresenta le pecore come sorprese, addirittura perplesse, dalla pronuncia da parte del re di questa benedizione su di loro, e così gli domandano quand’è che gli hanno fatto queste cose – quand’è che gli hanno dato da mangiare e da bere, lo hanno rivestito e visitato, accolto come un forestiero, e via dicendo. Nella sua risposta alla loro domanda, il re dichiara che «tutte le volte che l’avete fatto ad uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me» (v. 40).
Dopo avere delineato il trattamento delle pecore alla sua destra da parte del re, Gesù passa al suo trattamento dei capri a sinistra. Invece di benedire i capri, il re pronuncia una maledizione su di essi e ordina loro di andarsene via da lui «nel fuoco eterno che è stato preparato per il diavolo e per i suoi angeli» (25:41; si veda v. 46). Egli descrive quindi la condotta dei capri come l’esatto opposto di quella delle pecore: al contrario delle pecore, il re dichiara che i capri non sono venuti in suo aiuto ogni volta che non hanno mostrato bontà e misericordia a coloro che erano affamati, assetati, forestieri o ignudi. A questa rappresentazione del loro fallimento, anche i capri rispondono con sorpresa, protestando di non ricordare di non avere trattato il re con amore e bontà quando non hanno provveduto al bisogno degli affamati, degli assetati, degli ignudi, dei forestieri e dei prigionieri.

In questa impressionante rappresentazione del giudizio finale sono chiaramente presenti diversi temi. Quando il Figlio dell’uomo farà ritorno, egli giudicherà tutte le nazioni e i popoli, i giusti e gli empi. Nessuno sarà esentato dal giudizio e questo giudizio rivelerà la differenza tra coloro che hanno dato prova della loro fede in Cristo vivendo secondo il suo insegnamento e coloro che non lo hanno fatto. Nel caso dei giusti, Cristo li riconoscerà apertamente e li loderà per tutti i modi in cui hanno dimostrato la loro devozione nei suoi confronti mostrando compassione a «questi miei minimi fratelli» (v. 40); nel caso degli empi, Cristo li condannerà per non avere fatto altrettanto. La giustizia del giudizio e della separazione tra pecore e capri da parte di Cristo sarà apertamente manifestata a tutti.
Anche se il giudizio finale ricompensa le pecore e i capri secondo le loro opere, diversi elementi dell’insegnamento di Gesù in questo passaggio militano chiaramente contro l’idea che intendesse insegnare una dottrina della salvezza per opere. Anzitutto, prima di parlare delle buone azioni delle pecore, Gesù osserva che la loro eredità del regno era «stata preparata sin dalla fondazione del mondo» (v. 34). Questo linguaggio echeggia la descrizione da parte di Gesù dei suoi discepoli come gli «eletti» di Dio (24:22, 24) ed è coerente con l’insegnamento di Gesù in altre parti del vangelo di Matteo che coloro che entrano nel regno vi entrano per grazia venendo perdonati da Dio, non per i loro meriti o ciò che hanno compiuto (5:3; 6:12; 18:23-35; 19:25).
In secondo luogo, la differenza principale tra le pecore e i capri risiede nella loro relazione con Gesù: mostrando amore e bontà ai minimi fratelli di Gesù, le pecore hanno dimostrato il loro amore per lui. E in terzo luogo la sorpresa delle pecore, e addirittura il fatto che si fossero dimenticate del loro servizio nei confronti dei fratelli di Gesù, conferma che le loro azioni erano state compiute con gioia e gratitudine e non erano state motivate in alcun senso dal desiderio di ricompensa o dal timore che non compierle avrebbe portato alla loro condanna nel giudizio finale. Le azioni delle pecore non facevano che confermare la loro confessione della signoria di Gesù (si veda 7:25).
Romani 2:1-16: A ciascuno secondo le sue opere. Il secondo passaggio, Romani 2:1-16, offre una delle affermazioni più chiare della Scrittura riguardo un giudizio finale secondo le opere. In questo passaggio, l’apostolo Paolo afferma che tutti gli esseri umani, i giudei alla pari dei gentili, saranno sottoposti al giudizio di Dio, il quale «renderà a ciascuno secondo le sue opere» (2:6). Il criterio di questo giudizio sarà diverso nel caso dei giudei, ai quali era stata data la legge, e dei gentili, ai quali non era stata data la legge, ma nei cui cuori era stata scritta l’opera della legge (vv. 14-15). Anche se il metro del giudizio di Dio sarà commisurato a ciò che Dio ha rivelato a giudei e gentili riguardo la legge e il Vangelo, nessuno sarà esente da tale giudizio. Il giudizio finale rivelerà che «non coloro che odono la legge sono giusti presso Dio, ma coloro che mettono in pratica la legge saranno giustificati» (v. 13). Nel caso di coloro che sono condannati, la giustizia di Dio sarà manifestata a tutti.
Anche se alcuni interpreti di questo passaggio sostengono che insegni una giustificazione finale dei credenti sulla base delle opere, è fondamentale osservare come Paolo parli di un giudizio secondo le opere buone ma non a motivo di esse. Concludere sulla base di questo passaggio che Paolo consideri il giudizio finale un atto di giustificazione sulla base delle opere significherebbe contraddire completamente ciò che Paolo insegna a proposito della giustificazione nel resto di Romani. Nel contesto del ragionamento di Romani 1-3, può essere che Paolo stia parlando ipoteticamente, come sostenuto da Calvino molti altri esegeti riformati: dal momento che nessuno è in grado di fare ciò che la legge richiede (si veda Romani 3:9-19), nessuno sarà giustificato sulla base delle opere.
Tuttavia, anche se la nostra interpretazione è che Paolo sta parlando di una situazione reale, questo non comprometterebbe il suo insegnamento che la giustificazione è per sola grazia attraverso la sola fede in Cristo. Secondo questa interpretazione, Paolo può semplicemente stare insegnando che soltanto coloro la cui fede «opera mediante l’amore» (Galati 5:6) saranno giustificati, anche se le loro opere sono imperfette e non contribuiscono niente alla loro giustificazione. Poiché coloro che sono giustificati per sola fede sono anche santificati dallo Spirito di Cristo, il giudizio finale confermerà che coloro che sono giustificati non sono stati salvati da una fede priva di frutti.
CONCLUSIONE
Quando la relazione tra la giustificazione e un giudizio finale secondo le opere è interpretata correttamente, ne conseguono due conclusioni. In primo luogo, la prospettiva del giudizio finale non deve minare la fiducia di un credente nel fatto che ora non vi sia alcuna condanna per coloro che sono in Cristo Gesù: nel giorno del giudizio, i credenti che hanno riposto la propria fiducia in Cristo soltanto come loro giustizia dinanzi a Dio saranno apertamente assolti e la loro fede in Cristo sarà confermata.
In secondo luogo, l’aperto riconoscimento e ricompensa delle opere buone dei credenti servirà a dimostrare la genuinità della loro fede. Poiché la vera fede è sempre accompagnata dai suoi frutti, i credenti traggono incoraggiamento dal fatto che le loro opere buone non passeranno inosservate, e anzi saranno ricompensate, nel giudizio finale; invero, per questi credenti sarà un giorno di esultanza, quando il loro signore dirà loro: «Bene, buono e fedele servo…entra nella gioia del tuo signore» (Matteo 25:22-23).
Leggi di più: La giustificazione e la certezza.
Fonte: Justification and Judgement, Copyright 2021, da Cornelis P Venema. Ligonier Ministries.
Con permesso tradotto da A.P.