
Di W. Robert Godfrey.
«È stabilito che gli uomini muoiano una sola volta, e dopo ciò viene il giudizio» (Ebrei 9:27).
Queste parole impressionanti che troviamo nella lettera agli Ebrei sono quasi secondarie rispetto al suo insegnamento a proposito dell’opera di Cristo, ma dovrebbero incoraggiare un’attenta riflessione da parte dell’uomo moderno. Ogni parte di questa affermazione è messa in discussione al giorno d’oggi, anche se nel mondo antico i cristiani e la maggior parte dei pagani l’avrebbero considerata un’ovvietà. Oggi, in molti dubitano che succeda qualcosa dopo la morte e ancora in più dubiterebbero che vi sia un giudizio futuro; alcuni dubitano addirittura la realtà della morte, definendola un’illusione, e di certo alcuni negano che vi sia un Dio che stabilisce l’ora della morte o giudica i morti o ha uno standard morale secondo il quale giudicarli.
Ma per i cristiani la realtà di Dio, della morte e del giudizio è una ferma convinzione, per cui dobbiamo domandare a noi stessi e agli altri: come saremo giudicati? Sappiamo che lo standard morale secondo il quale saremo valutati da un Dio santo è la sua legge perfetta e sappiamo sulla base della legge di Dio e delle nostre coscienze che, in quanto peccatori, non siamo in grado di sopportare la luce della santità di Dio. La giusta risposta a questa situazione consiste nel ripetere con Isaia: «Ahimè! Io sono perduto, perché sono un uomo dalle labbra impure…eppure i miei occhi hanno visto il Re, l’Eterno degli eserciti» (6:5).
In quanto peccatori, non siamo in grado di superare il giudizio sulla base della nostra giustizia più di quanto il lebbroso sia in grado di guarire la sua lebbra. Chi ci purificherà, chi ci salverà, chi prenderà il nostro posto nel giudizio? Troviamo la risposta a questa domanda nella dottrina cristiana della giustificazione, la dottrina di come possiamo trovare la pace con Dio. Questa dottrina è esposta con la massima pienezza da Paolo nella sua lettera ai Romani, ma è insegnata in vari modi in tutta la Bibbia. Se Paolo usa l’immagine di un tribunale per spiegare la giustificazione, Ebrei usa l’immagine del tempio. Nel discutere il sacerdozio di Gesù, Ebrei mostra come i peccatori possono superare il giudizio: «Ora, una sola volta, alla fine delle età, Cristo è stato manifestato per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso» (9:26).
Di chi è il peccato che Cristo annulla? Chiaramente non suo: Ebrei afferma ripetutamente che Cristo era senza peccato. Egli «è stato tentato in ogni cosa come noi, senza però commettere peccato» (4:15).
A noi infatti occorreva un tale sommo sacerdote, che fosse santo, innocente, immacolato, separato dai peccatori ed elevato al di sopra dei cieli, che non ha bisogno ogni giorno, come quei sommi sacerdoti, di offrire sacrifici prima per i propri peccati…quanto più il sangue di Cristo, che mediante lo Spirito eterno offerse se stesso puro di ogni colpa a Dio, purificherà la vostra coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivente! (7:26–27; 9:14)
La purezza perfetta di Cristo è maestosamente riassunta da John Murray in questi termini: Cristo ha «una giustizia in cui l’onniscienza non trova macchia e la perfetta santità non trova imperfezione».
Allora Cristo è morto per tutti i peccati di tutti gli uomini? Ancora una volta, la risposta è no. Ebrei 9:28 afferma inequivocabilmente: «Cristo, dopo essere stato offerto una sola volta per prendere su di sé i peccati di molti, apparirà una seconda volta». Qui vi è chiaramente un’eco della grande profezia messianica di Isaia 53: «Egli ha portato il peccato di molti» (v. 12). Gesù non è morto per i peccati di tutti gli uomini, ma per quelli del suo popolo: «Egli doveva perciò essere in ogni cosa reso simile ai fratelli, perché potesse essere un misericordioso e fedele sommo sacerdote nelle cose che riguardano Dio, per fare l’espiazione dei peccati del popolo» (Ebrei 2:17). Il suo sacrificio ha allontanato l’ira di Dio dai peccati del suo popolo.
La perfezione di questo sacrificio di Cristo diventa perfettamente nostra: «Con un’unica offerta, infatti, egli ha reso perfetti per sempre coloro che sono santificati» (Ebrei 10:14, cfr. 7:11, 28). Anche se Ebrei non esamina esplicitamente la dottrina della piena imputazione della giustizia di Cristo come fa Paolo, il suo insegnamento a proposito della nostra perfezione in Cristo la insegna implicitamente. Quale perfezione possediamo al momento? Non la perfezione della completa santificazione o glorificazione, ma la la perfezione della perfetta giustizia che ci è messa in conto per la misericordia di Cristo. È in questo senso che Ebrei descrive anche i cristiani come purificati: «Quanto più il sangue di Cristo, che mediante lo Spirito eterno offerse se stesso puro di ogni colpa a Dio, purificherà la vostra coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivente!» (9:14) e «accostiamoci con cuore sincero, in piena certezza di fede, avendo i cuori aspersi per purificarli da una cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura» (10:22). Questa purezza è presentata come completa e finale: «E, secondo la legge, quasi tutte le cose sono purificate col sangue; e senza spargimento di sangue non c’è perdono dei peccati» (9:22). Il sangue di Gesù che ottiene il completo perdono dei peccati ha purificato il suo popolo. Ancora una volta, vediamo qui per implicazione l’imputazione della pura giustizia di Cristo.
Il popolo di Dio riceve i benefici dell’opera perfetta di Cristo come un dono da parte di Dio, ossia per grazia. Un modo in cui possiamo vederlo qui in Ebrei è nella citazione di Geremia 31 a proposito del nuovo patto che è alla base della discussione dell’opera di Gesù come sommo sacerdote. Anche se gran parte dell’attenzione si concentra sulla realizzazione della redenzione nel sacrificio di Cristo, Geremia 31:33, citato in Ebrei 8:10 e 10:16, afferma che l’applicazione della redenzione è l’opera graziosa di Dio: «Io porrò le mie leggi nella loro mente e le scriverò nei loro cuori». Le promesse che Dio agirà per applicarci questa redenzione sono le migliori e più graziose promesse sulle quali si fonda il nuovo patto in Cristo (Ebrei 8:6).
Questo dono è ricevuto per fede. Ancora una volta, Ebrei non enuncia la verità di “sola fede” in termini paolini, ma la afferma chiaramente a modo suo. Coloro che hanno ricevuto la benedizione del perdono dei peccati «aspettano» con fede il ritorno di Gesù (9:28). La loro «libertà» è frutto della fede (10:19) come lo è la loro «piena certezza di fede» (v. 22). Essi mettono in pratica la loro fede mediante la quale hanno ricevuto la misericordia di Cristo.

L’effetto delle verità di solo Cristo, sola grazia e sola fede è di riempire i cristiani di fiducia. La chiamata alla fiducia in Ebrei è forte e costante (ad es. 4:16; 10:19; 11:1; 12:1–3, 22–24), per quanto potremmo domandarci se Ebrei non incoraggi una dose di incertezza. In certi punti, può sembrare che Ebrei incoraggi ansia e incertezza nella vita cristiana, ad esempio: «Infatti, se noi pecchiamo volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio per i peccati» (10:26). Ma questo è un avvertimento contro la negligenza o l’indifferenza nel vivere la vita cristiana. Questo avvertimento è in realtà un incoraggiamento alla diligenza e alla sollecitudine, e di fatto una reiterazione della certezza:
Non gettate via dunque la vostra franchezza, alla quale è riservata una grande ricompensa. Avete infatti bisogno di perseveranza affinché, fatta la volontà di Dio otteniate ciò che vi è stato promesso…Ma noi non siamo di quelli che si tirano indietro a loro perdizione, ma di quelli che credono per la salvezza dell’anima. (vv. 35-36, 39)
Possiamo essere certi che colui che ha iniziato un’opera buona in noi la porterà a compimento perché Gesù è «autore e compitore della nostra fede» (12:2).
L’effetto della dottrina della giustificazione che ci è presentata in Ebrei e in tutta la Bibbia ha anche degli effetti profondi sulla nostra comprensione della chiesa e rafforza vigorosamente una dottrina riformata della chiesa. Dopo l’opera del nostro sommo sacerdote nel suo sacrificio, la chiesa non ha bisogno di altri sacerdoti o sacrifici: il sacrificio di Gesù sulla croce era il sacrificio finale (9:26, 28; 10:10, 12, 14, 18) che ha messo fine ai sacrifici per il peccato e al sacerdozio che li offriva. La chiesa cattolica romana, nella sua dottrina della giustificazione e della messa come anche nel suo ministero e liturgia, è condannata da Ebrei 9-10. Roma cerca di discolparsi dicendo che i suoi sacerdoti offrono soltanto l’unico sacrificio di Cristo, ma dal momento che ogni messa è considerata propiziatoria (placante l’ira di Dio) Roma non può rendere conto del chiaro insegnamento della completezza e finalità dell’opera di Cristo sulla croce che troviamo qui in Ebrei.
Il grande ministero della chiesa non consiste nell’offerta di sacrifici propiziatori, ma nell’insegnamento della Parola di Dio. Il Nuovo Testamento in generale ed Ebrei in particolare enfatizzano la centralità della Parola di Dio nella vita del cristiano e nel ministero della chiesa (ad es. 1:1–2; 2:1–3; 3:7–4:12), riassunta in Ebrei 13:7: «Ricordatevi dei vostri conduttori, che vi hanno annunziato la parola di Dio».
È dunque stabilito che gli uomini muoiano una sola volta e dopo ciò venga il giudizio: la buona notizia del Vangelo è che prima di morire e affrontare il giudizio, possiamo sapere che Gesù è morto per annullare i nostri peccati, purificarci e renderci perfetti nella sua giustizia, e che possiamo vivere con la serenità e la fiducia (ma non la presunzione) che la nostra salvezza è certa e compiuta in Gesù Cristo e lui solo. Supereremo il giudizio perché Gesù ha fatto per noi tutto il necessario nella realizzazione e applicazione della salvezza.
Leggi più… La dottrina di giustificazione definita confessionalmente.
Fonte:
The Fundamental Question, Copyright 2021, da Robert Godfrey. Ligonier Ministries.
Con permesso tradotto da A.P.