
di G. W. Knight III.
La parola “diacono”, che designa un ufficio specifico nella chiesa, traduce la parola greca διάκονος[1]. Tale termineè stato reso in inglese [e in italiano] come “diacono” in Filippesi 1:1 e in I Timoteo 3:8 e 12, dove i traduttori hanno pensato che il contesto mettesse particolarmente in risalto questo ruolo speciale. Nel fare ciò essi hanno utilizzato uno dei sensi specifici della parola greca διάκονος, che nel suo significato più basilare vuol dire “servitore” (cfr. per esempio Matteo 22:13; Giovanni 2:5, 9). Il termine è usato nel suo significato più semplice per riferirsi a tutti i cristiani rispetto alla loro relazione con il Signore e tra di loro (cfr. Matteo 20:25-28; Marco 10:42-45; Giovanni 12:26). Si usa, inoltre, in riferimento a coloro che servono la chiesa come conduttori e in questi casi la traduzione inglese è spesso quella di “ministro”, che ha un senso un po’ più ristretto della parola greca διάκονος (cfr. Efesini 6:21; Colossesi 4:7; I Timoteo 4:6)[2]; questi capi o conduttori della chiesa sono chiamati anche con altri termini, come anziani, vescovi, pastori e insegnanti. Coloro, invece, il cui ruolo è caratterizzato in modo particolare dal servizio vengono sempre chiamati nel Nuovo Testamento con il termine “diacono”, usandolo con questo specifico significato riferito a questo ufficio peculiare della chiesa.
Questa designazione di “servitore” collega questi conduttori con il loro grande esempio e modello, Gesù Cristo, il Servo del Signore. Egli indica la propria vita di servizio come modello per i cristiani quando dice in Marco 10:43b-45: “Chiunque vorrà essere grande fra voi, sarà vostro servitore; e chiunque, tra di voi, vorrà essere primo sarà servo di tutti. Poiché anche il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire […]”. Uno dei modi in cui Gesù ha servito è stato nutrire le moltitudini e prendersi cura dei bisognosi. Egli mostrava particolare compassione per le vedove, chiamava i piccoli a sé e li benediceva. In questa attività egli adempì ciò che Giacomo riassume come l’essenza della religione pura: “La religione pura e senza macchia davanti a Dio e Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni […]” (Giacomo 1:27). Egli è il modello per tutti i cristiani e in particolare per i diaconi.
I diaconi sono menzionati nella lettera di Paolo ai Filippesi e nella sua prima lettera a Timoteo come conduttori riconosciuti nella chiesa. Ma dove e come si manifesta per la prima volta l’ufficio del diacono nel Nuovo Testamento? La risposta a questa domanda si trova nell’azione degli apostoli di istituire un gruppo separato di uomini per assisterli e avere responsabilità speciali. Leggiamo di questa decisione e del suo esito in Atti 6, dove gli apostoli comunicarono ai discepoli di scegliere tra loro sette uomini per una particolare responsabilità.
Il fatto che sia legittimo considerare quei sette uomini in Atti 6 come i primi diaconi, si può provare dalle seguenti considerazioni.
- In primo luogo, anche se il sostantivo “diacono” (διάκονος) non è usato nel brano per designare questi sette uomini, è direttamente collegato al loro compito di “servire alle mense” (Atti 6:2), espresso tramite il verbo affine διακονεῖν[3]. Questa relazione non è solo linguistica, ma anche relativa all’incarico: servire ai tavoli è certamente un compito appropriato per coloro che successivamente saranno chiamati servi o diaconi.
- In secondo luogo, le particolari responsabilità degli apostoli e dei sette uomini indicati in Atti 6 sono praticamente identiche a quelle degli anziani (o vescovi) e dei diaconi enunciate in altri passi del Nuovo Testamento. Proprio come gli apostoli avevano al loro fianco i sette uomini, così anche gli anziani (o i vescovi) avevano accanto a loro i diaconi (Filippesi 1:1; I Timoteo 3:1-13). Gli apostoli spiegarono che la loro responsabilità riguardava, oltre al governare, il ministero della Parola e la preghiera (Atti 6:5), che sono le stesse funzioni conferite agli anziani o ai vescovi (cfr., per esempio, Atti 20:28; I Timoteo 3:2-3; Tito 1:9). I sette uomini in Atti 6:2-3 furono chiamati a servire (διακονεῖν) e lo stesso si afferma rispetto ai diaconi in I Timoteo 3:10, 13 (διακονεῖν).
- In terzo luogo, i sette uomini furono scelti tra coloro che manifestavano determinate qualifiche spirituali (Atti 6:3) e allo stesso modo i diaconi dovevano esserlo tra uomini che manifestavano attributi spirituali simili (I Timoteo 3:8-10, 12). Sebbene le due sequenze di qualifiche non siano identiche, l’elenco più specifico di I Timoteo 3 potrebbe facilmente essere visto come la descrizione dettagliata del sommario di Atti 6. Non solo non c’è alcun ostacolo all’equiparazione dei sette uomini con i diaconi, ma piuttosto troviamo molti elementi a favore.
L’opera diaconale di cui leggiamo in Atti 6 fu inizialmente portata avanti dagli apostoli. Essi fecero così per due motivi: in primo luogo, l’opera affidata al popolo di Dio è stata spesso portata avanti nel modo migliore mediante i suoi conduttori o rappresentanti, anche se non solo da loro; in secondo luogo, sembra che l’ufficio di apostolo comprendesse entrambi ruoli, ossia quelli di anziano e di diacono, con i relativi compiti. Per analogia, si può correttamente presumere che l’ufficio di anziano includa l’ufficio di diacono con le inerenti funzioni. Questa può essere la ragione per cui nelle nuove chiese menzionate in Atti 14:23 e in Tito 1:5ss. furono eletti solo degli anziani.
Gli apostoli, però, in Atti 6 stabilirono di non poter più gestire la funzione diaconale in maniera adeguata, in particolare di non poter più far ciò senza tralasciare quel compito che era la loro prima responsabilità, cioè la Parola di Dio (Atti 6:2). Così, l’ufficio dei primi diaconi (i sette uomini) nacque per continuare a soddisfare le specifiche esigenze materiali delle vedove, in particolare il loro bisogno di cibo (Atti 6:1-2), e allo stesso tempo per aiutare gli apostoli, sollevandoli da “questo incarico” (Atti 6:3). Questi sette uomini eseguivano il loro ministero di “servire alle mense” nella qualità di uomini di “buona testimonianza, pieni di Spirito e di sapienza” (Atti 6:3). Questo resoconto serve come modello per determinare il ministero dei diaconi, dato che i loro compiti non sono specificati in nessun’altra parte delle Scritture. Questo modello mostra che essi svolgevano un ministero spirituale per coloro che nella chiesa avevano bisogno che venissero loro provveduti i beni di prima necessità; questo principio è il primo e il più importante fornitoci da questo brano. Il secondo, correlato al primo, è quello di assistere coloro che governano e insegnano nella chiesa, e di svolgere quei compiti o responsabilità che devono essere svolti dagli anziani della chiesa, che essi, però, non possono fare senza pregiudicare la loro funzione principale di pastori spirituali del popolo di Dio. Ma questi altri incarichi, che possono essere opportunamente assegnati, non devono indurre i diaconi stessi a rinunciare al loro specifico compito, cioè il ministero di misericordia verso i bisognosi.
Che i diaconi lavorino sottomessi agli anziani e al loro governo, anche nel campo delle finanze e, in particolare, dei fondi per i bisognosi, non è solo evidente dal fatto che gli anziani sono tenuti a governare sulla chiesa intera e su tutte le sue organizzazioni e su tutti i suoi componenti, compresi i diaconi, ma è anche dimostrato in modo particolare da Atti 11:27-30. I fondi per il soccorso in caso di carestia inviati a Gerusalemme furono consegnati agli anziani (v. 30): anche loro, come gli apostoli, dovevano prendersi cura delle vittime della carestia, sovrintendere e provvedere a loro; per questo motivo i fondi arrivarono agli anziani. Possiamo presumere che gli anziani, come gli apostoli, avessero affidato questa mansione ai diaconi per realizzarne l’effettiva distribuzione, anche se nel testo non è scritto e, alla luce di Atti 6, non ha bisogno di essere ripetuto.
Dall’ulteriore attività di Stefano e Filippo (Atti 8:5ss.), che sono elencati tra i sette uomini di Atti 6:5, si potrebbe sostenere che la loro attività mostri come i diaconi dovrebbero essere anche evangelisti, cioè predicatori. Certamente Filippo in Atti 8 ricopre la figura di evangelista e fu impegnato nella predicazione nel vero senso della parola. Tuttavia, egli non si dedicò a queste attività lontano da Gerusalemme come uno dei sette (il cui compito era quello di servire le vedove alla mensa). Questa distinzione è confermata dal testo di Atti 21:8, dove il ministero di Filippo come evangelista si distingue dal suo essere, o essere stato, uno dei sette uomini: “[…] Filippo l’evangelista, che era uno dei sette”. Ciò è confermato anche dalla descrizione delle attività date specificamente ai sette uomini in Atti 6. Essi dovevano “servire alle mense”, assistere le vedove e svolgere attività simili per dare sollievo agli apostoli in modo che potessero predicare e ministrare la Parola. La descrizione del compito dei sette uomini in Atti 6 (che non include quello che Filippo farà in seguito), soprattutto se vista alla luce di ciò che gli apostoli dovevano fare rispetto a loro, definisce l’opera diaconale dei sette uomini e dei diaconi. La responsabilità successiva di Filippo fu la sua opera come evangelista, non come uno dei sette uomini, e queste due attività in cui fu impegnato una dopo l’altra non devono essere confuse.
Questa distinzione è comprovata anche da un confronto con la lista delle qualifiche degli anziani e dei diaconi in I Timoteo 3:1-13. Si dice che i vescovi (anziani) devono essere “capaci di insegnare” (v. 2, cfr. Tito 1:9 e anche l’ulteriore distinzione tra gli anziani in I Timoteo 5:17) e che devono prendersi cura della chiesa di Dio (v. 5); nessuna di queste due cose viene detta a proposito dei diaconi in I Timoteo 3:8-13, anche se i diaconi e gli anziani hanno altre qualifiche comuni o simili.
Alcune qualifiche distintive dei diaconi indicate in I Timoteo 3:8-13 possono aiutare a sottolineare le delicate e importanti relazioni interpersonali in cui i diaconi sono coinvolti nell’assistere i bisognosi; tuttavia esse non possono stabilire da sole la sfera d’azione dei diaconi, a differenza di Atti 6 dove invece emerge esplicitamente, ma il loro significato si comprende più facilmente se analizzato nel contesto di quest’ulteriore brano.
Il riferimento alle donne o mogli in I Timoteo 3:11 è posto nel mezzo di un passo che descrive coloro ai quali si applica la designazione diaconale (διάκονος) in quanto uomini (cfr. vv. 8 e 12; in quest’ultimo si dice che il diacono sia il marito). Chi sono queste donne nel versetto 11? Sono state date diverse risposte, ma a causa della brevità di questo articolo selezionerò alcuni commenti per ottenere la risposta che considero più in armonia con il contesto biblico qui e altrove (per una discussione più completa vd. Knight, Le Epistole Pastorali [NIGTC] su questo versetto). La parola greca γυνή (γυναῖκας[4] è la forma presente nel testo), che è resa “mogli” dalla Diodati e dalla Nuova Diodati e da altre traduzioni (per esempio la Nuova Riveduta) come “donne”, può significare entrambe le cose, a seconda del contesto. Il suo uso con il significato di moglie nel contesto più immediato dei versetti 2 e 12 favorisce anche in questo caso la stessa traduzione. Questa resa spiega anche altri aspetti del versetto 11. Se così fosse, si spiegherebbe la posizione del versetto nel mezzo della trattazione del diacono e subito prima dei suoi requisiti coniugali e familiari. Questa frase sulla moglie non è quindi un’intrusione, ma la prima di quelle considerazioni sulla famiglia del diacono. Inoltre, il riferimento alla moglie può spiegare al meglio l’assenza di un richiamo alla fedeltà coniugale per la moglie, che altrimenti è sempre presente (cfr. I Timoteo 3:2, 12 e 5:9). La parola greca di transizione ὡσαύτως[5] (resa nella Nuova Riveduta con la locuzione “allo stesso modo”) da una parte distingue questo versetto dal precedente sul diacono, dall’altra crea un collegamento. L’aspetto distintivo mostra che non si sta parlando di una donna diacono (o diaconessa), mentre quello correlativo mostra che ella possiede caratteristiche simili e quindi è qualificata per assistere il marito. La chiesa odierna dovrebbe prestare attenzione a entrambi gli aspetti di questo versetto e agire di conseguenza. Alla luce di questo passo e alla luce del fatto che gli apostoli richiedevano esplicitamente alla chiesa di eleggere “uomini” in Atti 6:3 (come infatti accadde, Atti 6:5; la parola greca ἀνήρ[6] usata in Atti 6:3 designa un “maschio” ed è diversa dalla parola greca ἄνθρωπος[7], che significa “essere umano”), la cosa migliore è intendere l’uso di διάκονος riferito a Febe in Romani 16:1 non come diacono o diaconessa, ma nel suo senso generale di servitore, come è usato anche nell’unico altro riferimento in Romani (13:4ss.). Questo senso generale di servitore si trova in diverse traduzioni moderne[8]. In I Timoteo 3 il titolo di diacono è applicato a un conduttore maschio (vv. 2, 12). La coerenza tra Atti 6 e I Timoteo 3 fornisce la base biblica per affermare che i diaconi sono uomini.
Quale consolazione e incoraggiamento c’è per i diaconi nello svolgere tali compiti di servizio per i bisognosi e nell’assistere gli anziani? Se ne potrebbero menzionare molti, ma ne basti uno, quello riportato dell’apostolo Paolo stesso in I Timoteo 3:13: “Quelli che hanno svolto bene il compito di diaconi, si acquistano un grado onorabile e una grande franchezza nella fede che è in Cristo Gesù”.
[1]NdT – Leggesi diáconos.
[2]NdT – Nella Nuova Riveduta si usa il termine “servitore” anche in questi casi.
[3]NdT – Leggesi diaconéin.
[4]NdT – Leggesi guné e gunáikas.
[5]NdT – Leggesi osáutos.
[6]NdT – Leggesi anér.
[7]NdT – Leggesi ánthropos.
[8]NdT – Affermazione corretta per quanto riguarda le versioni inglesi (alcune traducono “diaconessa”, altre “servitrice”), mentre in tutte le edizioni italiane principali si trova “diaconessa”.
Fonte: The Biblical Basis for the Diaconate, by G. D. Knight III, Ordained Servant: 2007
Tradotto da Simone Ferrari.