
di Kevin D. Gardner.
Geremia 29:11 contiene una preziosa promessa cara a molti cristiani in tutto il mondo, e probabilmente è anche uno dei versetti applicati più impropriamente di tutta la Scrittura. In questo versetto, Geremia afferma che Dio è in controllo e ha in serbo delle cose buone per i suoi:
«Infatti io so i pensieri che medito per voi, dice il Signore, pensieri di pace e non di male, per darvi un avvenire e una speranza».
Si tratta certamente di parole confortanti, ma cos’è che Geremia sta dicendo? Alcuni hanno preso questo versetto e lo hanno applicato a se stessi e agli altri in modo indiscriminato, dicendo: «Dio ti ama e ha un piano meraviglioso per la tua vita! Egli ha tracciato il corso della tua vita, e tu non devi fare altro che obbedirgli per ricevere la sua benedizione».
Alcuni si spingono oltre e dicono che questo versetto promette la prosperità terrena. La salute e la ricchezza spettano a tutti i cristiani e noi non dobbiamo accontentarci di niente che non sia il meglio, perché siamo figli del Re. Secondo questa visione, la sofferenza e le privazioni segnalano una mancanza di fede.
C’è chi dice che i tre fattori più importanti quando si acquistano dei beni immobili sono l’ubicazione, l’ubicazione e l’ubicazione; similmente, i tre fattori più importanti quando si vuole capire un certo passaggio della Bibbia sono il contesto, il contesto e il contesto. Quando un brano è isolato dal suo contesto, gli si può far dire pressoché qualsiasi cosa, ma quando lo si legge nel suo contesto il suo significato originale diventa chiaro.
Il contesto di Geremia 29:11 indica che questo versetto non costituisce una promessa generale di benedizioni terrene. Il profeta Geremia esercitò il suo ministero prima e durante l’esilio babilonese, quando il regno meridionale di Giuda subì la maledizione pattizia dell’espulsione dalla terra promessa a causa della sua continua infedeltà nei confronti del Signore (Deuteronomio 28:36; 2 Cronache 36:15-21). Geremia aveva avvertito gli abitanti di Giuda che il castigo era imminente e li aveva implorati di ravvedersi dalla loro idolatria e malvagità; quando non si ravvedettero, profetizzò che Nabucodonosor, il re di Babilonia, avrebbe conquistato Giuda e Gerusalemme e ne avrebbe condotto gli abitanti in esilio (Geremia 25:1-11).
Anche nel mezzo di questa profezia di castigo, però, vi era un barlume di speranza: l’esilio sarebbe durato a lungo, ma non sarebbe stato permanente. Dio voleva castigare il suo popolo, ma non lo avrebbe distrutto completamente; di fatto, lo avrebbe riportato nella sua terra dopo settant’anni (v. 11).
Inoltre, il Signore promise di benedire il popolo durante il suo esilio. Questa benedizione promessa è il soggetto del capitolo 29, che riporta i contenuti di una lettera che il profeta aveva inviato al popolo in esilio (29:1). Dio incoraggia il popolo a costruire case, sposarsi e dare i propri figli in matrimonio, piantare giardini e «cercare il bene della città» (vv. 5-7). Queste benedizioni sono un rovesciamento o una sospensione delle maledizioni del patto di Deuteronomio 28:30-34.
Il Signore promise che dopo un certo periodo di tempo avrebbe riportato indietro il suo popolo (Geremia 29:10). Questo è il contesto di Geremia 29:11. Il Signore non aveva chiuso con il suo popolo del patto, ma nella sua sofferenza lo richiamava alla fedeltà e all’obbedienza. Vi era un elemento di obbedienza alla promessa: gli abitanti di Giuda dovevano sperare nel Signore, fidarsi di lui e seguirlo mentre erano lontani dal tempio e separati dal sacerdozio e dai sacrifici. Una volta che avessero imparato la pazienza e l’obbedienza, egli li avrebbe riportati indietro; infine, assicurò loro che era vicino e in grado di risanarli (vv. 12-14; cfr. 24:4-7).
Noi semplicemente non possiamo applicare direttamente questo versetto a noi. Esso non è stato originariamente scritto a noi, ma a un determinato gruppo di persone che vivevano in un determinato posto in un determinato periodo storico. Questo però significa che questo versetto non ha nessuna applicazione per noi in quanto cristiani? No, per niente! Di fatto, la sua applicazione a noi è gloriosa, anche se indiretta.
Parlando di Cristo, Paolo dice che «tutte le promesse di Dio hanno il loro sì in lui» (2 Corinzi 1:20): Gesù è il vero Israele, l’erede di tutte le promesse fatte al popolo del vecchio patto, il residuo giusto (Salmo 2:7; Atti 2:16-21; 15:16-17; Galati 3:16). In ultima analisi, la promessa di benedizione durante e dopo l’esilio di Geremia 29:11 è stata fatta a Cristo, ed è stata adempiuta nel suo soggiorno terreno e ritorno alla sua dimora celeste, ossia nella sua vita, morte, risurrezione e ascensione.
Anche noi cristiani ereditiamo quella promessa in virtù della nostra unione a Cristo mediante la fede. Egli ha subito la maledizione del patto e adempiuto la legge dell’obbedienza per conto nostro, e tutto ciò che è suo diventa nostro secondo la grazia di Dio (Efesini 1:11-14): così, sebbene anche noi soffriremo durante il nostro soggiorno terreno, siamo benedetti attraverso l’opera dello Spirito Santo, saremo risuscitati con Cristo e godremo di benedizioni indescrivibili alla presenza del nostro Signore. Questo è ciò che in ultima analisi si intende con la promessa da parte di Dio di «pensieri di pace e non di male, per darvi un avvenire e una speranza», ed è assai meglio di qualsiasi promessa di prosperità terrena.
Fonte:
Jeremiah 29:11, Copyright 2019, da Kevin D. Gardner. Ligonier Ministries.
Con permesso tradotto da A.P.