
Di Jonathan Gibson.
Una volta J.C. Ryle ha commentato: «L’assenza di definizioni accurate è la linfa vitale delle controversie religiose». Questo è vero soprattutto per quanto riguarda la dottrina dell’espiazione limitata. L’aggettivo stesso, “limitata”, crea fin da subito un problema: se, nella storia della redenzione, l’espiazione di Cristo è il culmine della tanto attesa salvezza di Dio, perché limitarla?
Naturalmente, da un certo punto di vista, tutti limitano l’espiazione di Cristo: alcuni ne limitano la portata (affermando che è solo per gli eletti di Dio), mentre altri ne limitano l’efficacia (sostenendo che non salva tutti coloro per i quali è offerta). La questione, allora, non è se limitare l’espiazione di Cristo, ma come. Per questo motivo vorrei proporre un termine più positivo e meno ambiguo: “espiazione definita”.
La dottrina dell’espiazione definita afferma che nella morte di Gesù Cristo, il Dio uno e trino si proponeva di realizzare la redenzione di coloro che il Padre aveva dato al Figlio nell’eternità passata e di applicare i frutti del suo sacrificio a ciascuno di essi tramite l’opera dello Spirito Santo; in breve, la morte di Cristo non solo aveva lo scopo di ottenere la salvezza unicamente del popolo di Dio, ma è anche destinata a realizzare tale scopo. Da questo punto di vista, l’aggettivo “definita” ha una duplice valenza, in quanto denota sia lo scopo della morte di Cristo (soltanto per i suoi eletti) sia la sua efficacia (egli salverà davvero i suoi eletti, garantendone la fede nel Vangelo). Gesù terrà fede al suo nome: «egli salverà il suo popolo dai loro peccati» (Matteo 1:21).
Da quando è stata articolata pienamente al sinodo di Dordrecht (1618-1619), la dottrina dell’espiazione definita ha ricevuto una dose non indifferente di critiche. Nel diciottesimo secolo, John Wesley predicò che la dottrina era del tutto contraria «allo spirito del Nuovo Testamento»; nel diciannovesimo secolo, John McLeod Campbell, un pastore della chiesa di Scozia, sostenne che la dottrina derubava il credente della certezza personale che Cristo «mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Galati 2:20); nel ventesimo secolo, Karl Barth si lamentò che questa «cupa dottrina» era una logica conseguenza dell’erronea idea della doppia predestinazione di Giovanni Calvino; mentre altri hanno espresso la preoccupazione che l’espiazione definita rappresenti il tallone d’Achille della teologia riformata, una debolezza che distruggerebbe l’evangelismo e l’attività missionaria.
Sia pure a fronte di queste critiche, vorrei suggerire che faremmo bene a (ri)affermare la dottrina dell’espiazione definita per almeno tre ragioni.
IL SUO FONDAMENTO BIBLICO
Vi sono diversi passaggi neotestamentari che parlano dell’amore di Dio o della morte di Cristo per “molti” (Romani 5:15, 19), per “tutti” (11:32; 2 Corinzi 5:14-15; Colossesi 1:20; 1 Timoteo 2:6; 4:10; Tito 2:11) e per “il mondo” (Giovanni 3:16; 2 Corinzi 5:19; 1 Giovanni 2:2). Questi testi sono spesso impiegati da coloro che vogliono difendere un’espiazione universale.
D’altro canto, vi sono numerosi testi neotestamentari che parlano dell’amore di Dio o della morte di Cristo per un particolare gruppo di persone: per “me” (Galati 2:20), per la “chiesa” (Atti 20:28; Efesini 5:25), per il suo “popolo” (Tito 2:14) e per “noi” credenti (Romani 5:8; 8:32; 1 Corinzi 5:7; Galati 3:13; Efesini 5:2; 1 Tessalonicesi 5:10; Tito 2:14).
Quando i testi che sembrano affermare una visione universalista e quelli che sembrano affermarne una particolarista sono considerati nel loro complesso, si direbbe che spetti ai proponenti dell’espiazione universale spiegare come mai il Nuovo Testamento parli dell’amore di Dio o della morte di Cristo in termini limitati se in realtà non vi è nessuna limitazione di questo genere.
D’altro canto, la presentazione di una serie di versetti di carattere particolarista non dimostra la dottrina dell’espiazione definita più di quanto una serie di versetti dimostri la Trinità o la deità di Cristo. Queste dottrine non sono formulate attraverso la semplice accumulazione di versetti biblici a loro sostegno, ma richiedono la sintesi di dottrine internamente legate le une alle altre che incidono sulla particolare dottrina in considerazione. La sintesi teologica è una parte importante di qualsiasi costrutto dottrinale.
LA SUA SINTESI TEOLOGICA
La dottrina dell’espiazione definita non esiste in un vuoto, ma è legata a una serie di altre dottrine che a loro volta incidono su di essa, come possiamo vedere in Efesini 1:3-14. In questo grandioso paragrafo di una sola frase (nel greco) in cui Paolo enuncia le benedizioni che ci appartengono in Cristo, l’apostolo parla dell’opera salvifica di Dio in tre modi.
In primo luogo, l’opera salvifica di Dio è indivisibile. Paolo ci presenta tale opera in un quadro temporale che va dall’eternità passata all’eternità futura, suddividendola in quattro momenti distinti della salvezza: la predestinazione della redenzione, quando Dio ci ha scelti prima della fondazione del mondo (vv. 4-5); la realizzazione della redenzione, quando Cristo ci ha redenti per mezzo del suo sangue (v. 7); l’applicazione della redenzione, quando Dio ha sigillato la sua Parola nei nostri cuori per mezzo del suo Spirito (v. 13); e la consumazione della redenzione, quando entreremo in possesso della nostra eredità futura donataci dallo Spirito (v. 14). Questi quattro momenti dell’opera salvifica di Dio sono indivisibili, ossia sono momenti distinti ma inseparabili di un unico atto di salvezza da parte di Dio. Questo significa che l’espiazione definita di Cristo (la realizzazione della redenzione) non può essere mai separata dall’eterno decreto di Dio (la predestinazione della redenzione) o dall’opera santificante di Dio per mezzo del suo Spirito (l’applicazione della redenzione) che è legata alla nostra glorificazione nell’ultimo giorno (la consumazione della redenzione).
In secondo luogo, l’indivisibile opera salvifica di Dio è trinitaria. In questo passaggio, Paolo fa riferimento a ciascun membro della Trinità con i suoi rispettivi ruoli nell’opera della salvezza: il Padre ci elegge e predestina (vv. 4-5); il Figlio ci redime per mezzo del suo sangue, provvedendo il perdono per i nostri peccati (v. 7); e lo Spirito sigilla la Parola di Dio nei nostri cuori (v. 13) e serve anche da garanzia della nostra eredità futura (vv. 13-14). Tutte e tre le persone della Trinità operano in concerto per compiere l’atto singolare della salvezza dall’eternità passata all’eternità futura; per cui, quando prendiamo in considerazione lo scopo dell’espiazione di Cristo, le persone della Trinità non sono in conflitto tra di loro, ma piuttosto operano armoniosamente in concerto per realizzare la nostra salvezza.
In terzo luogo, l’opera indivisibile e trinitaria della salvezza di Dio è realizzata in Cristo. In questo paragrafo Paolo usa più volte l’espressione preposizionale “in Cristo” o “in lui”. Queste espressioni fanno riferimento all’unione del credente con Cristo, che si estende attraverso i quattro momenti della salvezza: siamo stati scelti “in lui” prima della fondazione del mondo (v. 4, la predestinazione della redenzione); “in lui” abbiamo la redenzione attraverso il suo sangue (v. 7, la realizzazione della redenzione); “in lui” siamo stati sigillati con lo Spirito Santo (v. 13, l’applicazione della redenzione); “in lui” abbiamo ottenuto un’eredità futura (v. 11, la consumazione della redenzione). Vediamo così che non vi è nessun momento della nostra salvezza che non rientra nell’ambito dell’unione con Cristo: il che garantisce che mentre i momenti della salvezza sono distinti, sono anche inseparabili.
IL SUO SLANCIO PASTORALE
La dottrina dell’espiazione definita, derivata dalla Bibbia e sintetizzata teologicamente, offre due stimoli al ministero cristiano.
In primo luogo, nonostante le affermazioni di chi sostiene il contrario, l’espiazione definita non deruba il credente della certezza della salvezza, ma anzi le offre il suo fondamento. Quando Gesù morì sulla croce, stava pensando a noi. Come ha commentato Martin Lutero: «La dolcezza del Vangelo sta nei pronomi personali: “il Figlio di Dio mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Galati 2:20)».
In secondo luogo, contrariamente a quanto sostenuto da alcuni, l’espiazione definita non soffoca l’evangelismo e l’attività missionaria, ma piuttosto li alimenta. Se è vero che Cristo è morto per tutti senza distinzione, facendo l’espiazione per ogni genere di persona, ricca o povera, uomo o donna, asiatica o africana o europea e via dicendo (come la fede riformata ha sempre affermato), allora l’attività missionaria diventa un’impresa entusiasmante e gratificante: dal momento che Cristo ha definitivamente riscattato delle persone per Dio da ogni tribù, lingua, popolo e nazione, abbiamo così la certezza che in ciascuna di esse vi sarà chi crederà al Vangelo (Apocalisse 5:9). L’espiazione definita, allora, non è un impedimento all’evangelismo e all’attività missionaria, quanto piuttosto uno sprone a essi.
Fonte:
Limited Atonement, Copyright 2020, da Jonathan Gibson. Ligonier Ministries.
Con permesso tradotto da A.P.