
di Nicholas T. Batzig
Qualche tempo fa ho letto un articolo in cui un celebre teologo cristiano incoraggiava le chiese cristiane a celebrare la Pasqua ebraica; la sua tesi non era che Dio vuole che i osservino le feste dell’Antico Testamento, ma che osservando la Pasqua ebraica i cristiani possono ricordare più facilmente le origini ebraiche della loro fede e migliorare i loro rapporti con gli ebrei. Ciò che colpiva per la sua assenza in questo articolo era qualsiasi riferimento biblico all’adempimento da parte di Cristo delle feste del vecchio patto.
Eppure l’apostolo Paolo, come anche gli altri autori neotestamentari, spiega chiaramente che Gesù ha adempiuto ogni ombra e ogni tipo della legge cerimoniale del vecchio patto (Colossesi 2:16-17) proprio come è venuto ad adempiere tutte le promesse e le profezie dell’Antico Testamento (2 Corinzi 1:20). Anche se i cristiani professano che Gesù è l’adempimento di tutti gli aspetti preparatori e anticipatori dell’Antico Testamento, molti di loro sono privi del quadro interpretativo all’interno del quale le singole parti trovano posto nella grande storia del piano della redenzione di Dio: in breve, Gesù adempie ogni aspetto preparatorio e anticipatorio della storia della redenzione nell’Antico Testamento in generale, e nella storia di Israele in particolare, perché egli è il vero Israele di Dio. Egli ricapitola – riassume e ripete – la storia di Israele nella propria esperienza e opera per ottenere per il suo popolo le benedizioni promesse ad Abramo.
Anche se vi sono molti passaggi della Scrittura che potremmo consultare per cercare di capire l’insegnamento della Bibbia sul fatto che Gesù è il vero Israele di Dio, il Vangelo di Matteo è il testo che sviluppa più pienamente questo tema. Matteo inizia il suo resoconto concentrandosi sul fatto che Gesù è il figlio di Davide e di Abramo: tracciando la genealogia di Gesù fino ad Abramo, Matteo spiega al popolo del patto che Gesù il figlio finale di Abramo a lungo atteso. Abramo è, ovviamente, il padre del popolo ebraico, che Dio chiama ai tempi dell’esodo «mio figlio» (Esodo 4:23). Quando Dio chiamò a sé Abramo, all’epoca un gentile, gli diede le promesse della redenzione e lo giustificò unicamente sulla base della sua fede nel Redentore a venire, egli fece di lui il padre di Israele, per cui se vogliamo capire Israele dobbiamo prima capire Abramo; ma se vogliamo capire Abramo, dobbiamo prima capire il piano del patto di Dio per la redenzione degli eletti, l’eterno piano che egli ha iniziato a dispiegare nel tempo subito dopo la caduta dei nostri progenitori (Genesi 3:15).
Nelle Scritture, Abramo è il capo federale del popolo a cui Dio rivela se stesso e la sua promessa di redenzione. Gli autori del Nuovo Testamento enfatizzano il fatto che Dio fece le sue promesse «ad Abramo e alla sua progenie»; l’apostolo Paolo si spinge oltre e suggerisce che Cristo è «la progenie» (singolare) alla quale Dio si stava riferendo quando fece le sue promesse del patto ad Abramo (Galati 3:16). La sostanza di quanto detto è chiara: Dio fece delle promesse ad Abramo affinché queste fossero tramandate fino a Cristo, il quale le avrebbe adempiute nella pienezza dei tempi nella propria persona e opera, come vediamo nella conversazione divina che l’autore di Ebrei riprende dalle Scritture dell’Antico Testamento (ad esempio Ebrei 2:10-16). Le promesse del patto che Dio fece ad Abramo e a Davide dovevano giungere fino al Cristo incarnato. Quando l’autore cita Salmo 2:7 e 2 Samuele 7:14 in Ebrei 1:5, ci sta aiutando a capire che nell’Antico Testamento Dio Padre stava parando a Dio Figlio delle promesse del patto fatte a Davide.
Le implicazioni sono notevoli: nell’Antico Testamento, tutto quello che sembrava fare riferimento alla nazione di Israele doveva essere tramandato fino a Gesù, il quale adempì per noi le realtà delle promesse nella propria persona e opera. Questo è il motivo per cui l’apostolo Paolo può affermare che «tutte le promesse di Dio hanno il loro sì in lui [Cristo]» (2 Corinzi 1:20) e, a proposito delle Scritture dell’Antico Testamento: «Poiché tutto ciò che fu scritto nel passato, fu scritto per nostra istruzione, affinché, mediante la pazienza e la consolazione che ci provengono dalle Scritture, conserviamo la speranza» (Romani 15:4).
Quando leggiamo delle promesse di restaurazione che Dio fece a Israele attraverso i profeti dell’Antico Testamento, dobbiamo farlo attraverso la lente della persona e dell’opera di Cristo. Il giudizio profetizzato per la nazione ci prepara per il giudizio che si abbatté su Cristo, il vero Israele, per i nostri peccati. Nella sua risurrezione, Gesù ottiene la restaurazione che era stata promessa tanto tempo prima e questo è il motivo per cui gli apostoli citano Gioele 2:28-32 in Atti 2:16-21 e Amos 9:11-12 in Atti 15:16-17: l’adempimento di queste promesse di restaurazione ha luogo anzitutto nel Figlio risorto o restaurato di Abramo, il quale le consumerà in un nuovo cielo e una nuova terra.
Quanto detto finora altro non è che la punta dell’iceberg del modo in cui le Scritture presentano Gesù come il vero Israele di Dio. Negli articoli che seguiranno in questa breve serie, considereremo il modo in cui il Nuovo Testamento spiega dei passaggi rilevanti dell’Antico Testamento e la narrativa fornitaci da Matteo per aiutarci a capire l’importanza di questo aspetto meraviglioso, anche se spesso trascurato, della storia della redenzione.
Fonte:
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Who Is the True Israel of God?, Copyright 2017, da Nick Batzig, Ligonier Ministries.
Con permesso tradotto da A.P.