
Di Sinclair Ferguson.
Anni fa, l’editore di una casa editrice mi chiese di scrivere un libro sulla preghiera, tema di vitale importanza. La casa editrice era molto conosciuta. Ad essere sincero, mi sentii lusingato. Ma, in un momento di onestà mandata dal cielo, gli dissi che l’autore di un libro del genere avrebbe dovuto essere più anziano e più esperto (e inoltre, ahimè, più dedito alla preghiera) di me. Ho suggerito un nome e poi un altro. La mia reazione sembrò incoraggiare anche lui a essere completamente trasparente, dato che sorrise: aveva già fatto la stessa proposta a quei conduttori cristiani di lunga data che avevo appena menzionato! Anche loro avevano declinato adducendo spiegazioni simili. “Uomini saggi” pensai. Chi può parlare o scrivere facilmente, che sia tanto o poco, sul mistero della preghiera?
Eppure, nell’ultimo secolo e mezzo, molto è stato scritto e detto a riguardo, in particolare sulla “preghiera della fede”. L’attenzione si è focalizzata su questa preghiera che “muove le montagne”, con la quale semplicemente “pretendiamo” delle cose da Dio con la fiducia che le riceveremo perché crediamo che lui ce le darà.
Ma cos’è esattamente la preghiera della fede?
L’associazione con i miracoli
In modo interessante l’espressione ricorre nella lettera di Giacomo, che si concentra parecchio sulle opere. Essa è il culmine del meraviglioso insegnamento sulla preghiera che punteggia l’intera lettera (vd. Giacomo 1:5-8; 4:2-3; 5:13-18).
Ciò che è ancora più singolare è che il significato dell’espressione sembra poi essere illustrato dall’esperienza di un individuo, il profeta Elia, la cui preghiera di fede servì per impedire che piovesse. Forse non è sorprendente, quindi, che la frase viene associata in gran parte, se non esclusivamente, a eventi drammatici e miracolosi, allo straordinario piuttosto che all’ordinario.
Tuttavia, ciò non coglie il senso fondamentale dell’insegnamento di Giacomo. La ragione per cui Elia è usato come esempio non è che fosse un uomo straordinario; Giacomo sottolinea che era “un uomo sottoposto alle nostre stesse passioni” (Giacomo 5:17). Piuttosto viene messa in risalto la sua ordinarietà.
La preghiera di Elia è usata come esempio non perché produsse effetti miracolosi, ma perché ci dà una delle più chiare illustrazioni di ciò che significa pregare con fede; ossia credere alla Parola rivelata di Dio, confidare nel suo impegno pattizio, e chiedergli di mantenerlo.
La preghiera del giusto
“Chiudere i cieli” non fu, dopo tutto, un’idea innovativa che ebbe origine nella mente prolifica di Elia, bensì l’adempimento della maledizione promessa dal Signore del patto: “Se non ubbidisci alla voce del SIGNORE tuo Dio […] avverrà che tutte queste maledizioni verranno su di te […]. Il SIGNORE ti colpirà […] di arsura, di aridità […]. Il tuo cielo sarà di rame sopra il tuo capo e la terra sotto di te sarà di ferro. Al posto della pioggia il SIGNORE manderà, sul tuo paese, sabbia e polvere […]” (Deuteronomio 28:15, 22-24).
Come ogni uomo “giusto” (vd. Giacomo 5:16), Elia cercò di regolare la sua vita in relazione alle promesse e alle minacce del patto di Dio (il che corrisponde, essenzialmente, a ciò che significa “rettitudine” nell’Antico Testamento, cioè relazionarsi correttamente al Signore secondo il patto). Elia visse la sua vita alla luce del patto che Dio aveva fatto, e di conseguenza nella sua preghiera egli si attenne alle sue minacce di giudizio, così come alle sue promesse di benedizione.
Questa, dunque, è la preghiera della fede: chiedere a Dio di compiere ciò che ha promesso nella sua Parola. Tale promessa è l’unico fondamento grazie al quale possiamo pregare con fiducia. Questa fiducia non scaturisce dalla nostra vita emotiva interiore; piuttosto, proviene e viene sorretta da ciò che Dio ha dichiarato nella Scrittura.
Gli uomini e le donne di fede veramente “giusti” conoscono il valore delle promesse del loro Padre celeste. Essi vanno da lui, come fanno i bambini con un padre umano amorevole; sanno che se possono dire a un padre terreno: “Ma, padre, tu hai promesso …”, possono persistere nelle loro petizioni ed essere sicuri che lui manterrà la sua parola. Quanto più lo farà il nostro Padre celeste, che ha dato suo Figlio per la nostra salvezza! Non abbiamo altre basi su cui fondare la nostra fiducia che egli ascolti le nostre preghiere, non ne abbiamo bisogno.
La preghiera legittima
Tale appello alle promesse di Dio costituisce ciò che Giovanni Calvino, seguendo Tertulliano, chiama “preghiera legittima”.
Alcuni cristiani trovano tutto questo deludente: sembra eliminare ogni misticismo dalla preghiera di fede. Non stiamo forse limitando la nostra fede nel chiedere solo ciò che Dio ha già promesso? Questa delusione, però, denota un malessere spirituale: vogliamo sostituire la nostra spiritualità (preferibilmente spettacolare) a quella di Dio (spesso modesta)?
Le difficoltà che a volte sperimentiamo nella preghiera, quindi, sono spesso parte del processo attraverso il quale Dio ci porta gradualmente a chiedere solo ciò che ha promesso di dare. Nella preghiera non c’è una lotta per portarlo a darci ciò che desideriamo, ma piuttosto una lotta con la sua Parola finché non siamo illuminati e soggiogati da essa, e affermiamo: “non la mia volontà, ma la tua sia fatta”[1]. Allora, come dice ancora Calvino, impariamo “a non chiedere più di quanto Dio permette”.
Ecco perché la vera preghiera non può mai essere separata dalla vera santità. La preghiera di fede può essere fatta solo dall’uomo “giusto” la cui vita è sempre più conforme al patto di grazia e ai propositi di Dio. Anche nell’ambito della preghiera (dato che è un microcosmo dell’intera vita cristiana), “la fede (preghiera al Signore del patto) senza le opere (obbedienza al Signore del patto) è morta”[2].
Estratto da In Christ Alone di Sinclair Ferguson.
Fonte:
What is the Prayer of Faith?, Copyright 2020, da Sinclair Ferguson. Ligonier Ministries.
Con permesso tradotto da Simone Ferrari.
[1] NdT – vd. Luca 22:42.
[2] NdT – vd. Giacomo 2:26.