
di Michael A.G. Haykin
Il 31 ottobre 1517, Martin Lutero inviò quelle che oggi chiamiamo le 95 Tesi all’elettore e vescovo di Magonza, Alberto di Brandeburgo (1490-1545): questo gesto è comunemente considerato l’inizio della Riforma, che è senza dubbio l’avvenimento più importante degli ultimi mille anni di storia della chiesa. Lo scritto di Lutero sollevava delle gravi obiezioni teologiche a un elemento fondamentale della devozione tardo-medievale, sarebbe a dire la vendita di indulgenze papali le quali, a detta della chiesa di Roma, garantivano la remissione del castigo dovuto al peccato in questa vita e in purgatorio. Il principale predicatore che vendeva queste remissioni in giro per Magonza era il frate domenicano Johann Tetzel (1465-1519) e Lutero lo prese direttamente di mira quando dichiarò nella sua ventisettesima tesi che «predicano l’uomo coloro che dicono che “non appena il soldino tintinna nella cassetta, l’anima vola al cielo benedetta”» e nella trentacinquesima che che predicare questo significava «predicare una dottrina non cristiana». Sperare di essere salvati attraverso l’acquisto di una di queste indulgenze papali altro non era dunque che «vano» (tesi 52).
Protestare contro una religione del guadagno economico
La chiesa di Roma continua tuttora a offrire indulgenze, anche se non lo fa più con la rozzezza con cui lo faceva Tetzel; tuttavia, la dannosissima pratica di fare mercede del cristianesimo per trarne profitto – particolarmente evidente nella pratica dei cosiddetti predicatori della teologia della prosperità – è assai preoccupante. Questi predicatori offrono “benedizioni” e “unzioni” cristiane in cambio di doni ai propri “ministeri”, una pratica disdicevole che in ultima analisi non è affatto differente da quella di Tetzel. Come Lutero, anche l’apostolo Paolo aveva dovuto affrontare delle persone che usavano la religione per riempirsi le tasche e anche se Lutero non citò le parole di Paolo in 1 Timoteo 6:5 nelle sue tesi, esse sono decisamente appropriate per l’epoca di Lutero come anche per la nostra. La risposta ispirata di Paolo a queste persone è categorica: esse sono «corrotte di mente e prive della verità, le quali considerano la pietà come una fonte di guadagno».
Piuttosto che comprare delle indulgenze papali, Lutero consigliava alle persone di usare il proprio denaro per compiere delle opere di bene, come dare ai poveri o aiutare i bisognosi (tesi 52); di fatto, in questo documento rivoluzionario Lutero sottolineava che spendere dei soldi per un’indulgenza mentre si sapeva che il proprio vicino aveva bisogno di aiuto dal punto di vista economico significava non trovare né perdono né salvezza, ma attirare su di sé l’ira e l’indignazione di Dio.
Protestare contro una devozione vana
Lutero non pensava di stare proponendo una rivoluzione religiosa nelle sue 95 Tesi, né di stare criticando il papato; tuttavia egli osservò, con un certo sarcasmo, che se il papa aveva il potere di rimettere i peccati dei fedeli in purgatorio, perché non lo «svuotava» del tutto in un colpo solo (tesi 82)? Con parole che vanno al cuore stesso della spiritualità della Riforma, Lutero affermò enfaticamente che «qualunque vero cristiano […] ha, datagli da Dio, la partecipazione a tutti i beni di Cristo e della chiesa, anche senza le lettere indulgenziali» (tesi 37).
Leggendo le Scritture, egli si era reso conto che una semplice e sincera fede nel Cristo crocifisso e risorto ottiene le più ricche benedizioni di Dio – e allora perché mai il credente avrebbe avuto bisogno di delle indulgenze da parte del papa, le quali capitalizzavano sulle ansie e le paure degli uomini a scopo di lucro?
Il vero tesoro della chiesa non consisteva in queste indulgenze inventate e di dubbio valore, ma nel «sacrosanto Vangelo della gloria e della grazia di Dio» (tesi 62). A questo punto della sua maturazione teologica, Lutero non aveva ancora abbracciato il principio che ora chiamiamo “sola Scrittura”, per cui la Scrittura è l’autorità finale su ogni ambito di vita e dottrina, ma certamente questa affermazione nella tesi 62 lo anticipa. Il Vangelo e tutti quei libri che lo proclamano puramente, sarebbe a dire le Scritture, sono un tesoro inestimabile in questo mondo, il che non era vero soltanto al tempo di Lutero, ma anche ai giorni nostri. Anche se il popolo di Dio può trarre giovamento da ogni campo del sapere umano, soltanto le Scritture sono infallibili e il modo più sicuro per glorificare Dio e godere di lui consiste nel dare loro retta senza riserve.
Che cosa costituisce dunque una vita di vera devozione per Lutero? Le tesi con le quali egli apre e chiude il suo scritto ce lo dicono chiaramente. La vita cristiana è anzitutto caratterizzata dal rivolgersi sinceramente a Dio per tutta la propria vita: «Il Signore e maestro nostro Gesù Cristo, dicendo “Fate penitenza”, volle che tutta la vita dei fedeli fosse una penitenza» (tesi 1). Questi devono seguire il loro Signore «attraverso le pene, le morti , gli inferni ed entrare nel cielo attraverso molte tribolazioni» (tesi 94-95). La vita cristiana implica delle difficoltà, come il morire costantemente a se stessi, la mortificazione del peccato e la persecuzione, ma alla sua base vi è una fiducia che scaturisce soltanto dalla fede ed è quella fede, non delle vane indulgenze o nemmeno le opere buone, che condurrà, per grazia di Dio, una persona in paradiso. Questa era una buona notizia al tempo di Lutero, e lo è ancora al giorno d’oggi.
Fonte:
Good News: You Can’t Buy Your Salvation, Copyright 2019, da Michael A.G. Haykin. Ligonier Ministries.
Con permesso tradotto da A.P.